Psicologia del rosario
Due delle più comuni forme di preghiera sono la “petizione”, cioè il chiedere qualcosa per sé stessi, e la “supplica”, che è il chiedere qualcosa per gli altri. Ebbene, la preghiera del rosario prevede entrambi questi significati, ma la sua struttura alquanto articolata fa sì che si presenti come una preghiera abbastanza “rituale”, sebbene non “ritualistica”. In effetti le preghiere ritualistiche sono preghiere spurie, cioè motivate da paure, da superstizioni e da una mentalità magica. Mentre le preghiere rituali hanno tutt’altro scopo: soprattutto, quello di togliere chi prega dalla condizione di individuo isolato per immergerlo in qualcosa di più grande di lui. Trascendere il sé e fondersi con una realtà più vasta è – stando ai teologi – il principale obiettivo della preghiera rituale e, nel caso specifico del rosario, il suo scopo trascendente: cioè sentirsi spiritualmente uniti con una realtà più ampia che è Maria, per generare il nostro vero “io” che è Gesù. A parte queste conclusioni spirituali, ed entrando più in profondità nello specifico del rosario con una ben mirata analisi psicologica, mi sono imbattuto in una serie di conclusioni di una tale singolarità e pregnanza esistenziale da farmi riscoprire ulteriormente l’incomparabile bellezza e profondità di questa preghiera. Innanzitutto, mi sono imbattuto in una curiosa “psicologia dello sviluppo e dell’età evolutiva”: nei misteri gaudiosi si snoderebbe una psicologia infantile, in quelli luminosi una psicologia dell’età adulta, nei dolorosi una psicologia della maturità e nei gloriosi una psicologia dell’al di là. Ma la conclusione più interessante è stata verificare una singolare associazione tra i diversi gruppi di misteri del rosario e quattro dei più importanti problemi basilari della psiche umana, e cioè: l'”autoaccettazione” per i misteri gaudiosi, l'”autorealizzazione” per i luminosi, la “paura” per i dolorosi, il “desiderio” per i gloriosi. Andando con ordine, nei misteri della gioia troviamo continuamente sollecitata una psicologia tipicamente infantile, che evidenzia uno dei più grandi problemi esistenziali dell’infanzia, e cioè quello di accettarci così come siamo, con le nostre origini genetiche e in primis il nostro concepimento tramite determinati genitori non scelti da noi (mistero dell’Annunciazione); senza però ripiegarsi in una narcisistica contemplazione, ma volgendo sempre lo sguardo oltre sé stessi perché l’autoaccettazione passa inesorabilmente nell’accettazione dell’altro (mistero della Visitazione). E poi il problema di accettare le proprie radici etniche, geografiche, ecc. (mistero della Natività); così come le proprie radici culturali, linguistiche, sociali, ecc. (mistero della Presentazione). E infine quello di accettare le proprie peculiarità caratteriali, le proprie tendenze di personalità e avver- tire nell’intimo di essere destinati ad un compito esistenziale tutto da scoprire e vivere (mistero del Ritrovamento). Nei misteri luminosi troviamo invece descritta una vera e propria psicologia dell’autorealizzazione da compiersi in età adulta, nel pieno della propria autonomia e crescita. L’ho trovata brillantemente descritta nel concetto di “individuazione” di Jung, con i relativi passaggi archetipici in profonda concordanza con i misteri luminosi. Tra l’altro l’individuazione come processo che tende alla realizzazione della persona conduce inevitabilmente a realizzare la realtà dell’anthropos, del vero uomo: essere un altro Gesù. Ad esempio, abbiamo la prima tappa del processo di individuazione che conduce al confronto con l’Ombra, il nostro “fratello oscuro”, quella parte che il soggetto nega in sé stesso ma che facilmente può scorgere e proiettare negli altri. E l’Ombra che rifiutiamo, ma che va riconosciuta in noi e poi illuminata, è in perfetta sintonia psicologica con il primo mistero luminoso – quello del battesimo nel Giordano -, perché confrontarsi con la propria Ombra significa andare oltre il proprio peccato originale per divenire coscienti di essere figli di Dio. La seconda tappa del processo d’individuazione è caratterizzata dall’incontro con l’anima e l’animus, le parti della psiche che hanno attinenza con il sesso opposto: è l’immagine dell’altro sesso che portiamo in noi e che come l’Ombra viene proiettata in un altro. Ecco dunque confermato il secondo mistero luminoso, quello delle nozze di Cana. Superate queste due tappe del processo, sorgono altri archetipi dall’inconscio, come quello della Grande Madre e del Vecchio Saggio. L’archetipo della Grande Madre è evidente quando Maria alle nozze di Cana dice: “Fate quello che vi dirà”, e con ciò dà il via al terzo mistero luminoso, che è appunto l’annuncio del Regno di Dio. Mentre l’archetipo del Vecchio Saggio compare nel quarto mistero luminoso, che è la Trasfigurazione, ed esattamente nelle figure di Mosè ed Elia. Il processo d’individuazione si conclude quando si raggiunge il centro più profondo della psiche totale, e cioè la realizzazione del proprio “sé”, che corrisponde esattamente al quinto mistero luminoso – l’istituzione dell’Eucaristia -, dove il pane e il vino metaforizzano il corpo e il sangue di Gesù, che realizzano la sua identità più profonda, appunto il suo “sé”. Nei misteri dolorosi troviamo invece sollecitata una psicologia della maturità accompagnata dalla paura, dove si evidenzia la realtà che l’autonegazione per amore è l’espressione massima della vera autorealizzazione; ma è importante affrontare la paura, altrimenti nulla accade. E qui non si può prescindere da un’affermazione forse banale, ma profonda- mente vera, e cioè che ogni paura è in fondo paura della morte. Mi sono pertanto ricordato dei cinque atteggiamenti psichici che, secondo la Kubler Ross, i moribondi manifestano a vantaggio della propria igiene mentale, messa in forte crisi da circostanze ineluttabili. Infatti la notizia terribile di un proprio male incurabile inizialmente viene rifiutata per poi far chiudere agli altri e tendere all’isolamento: proprio quello che succede nel primo mistero doloroso dove Gesù, pregando solo nel Getsemani, ha un moto di rifiuto iniziale: “Se possibile, allontana questo calice””. Nel secondo stadio si è arrabbiati con tutto e tutti; una aggressività fatta di sentimenti di rabbia, di invidia e di risentimento; una collera rabbiosa che nel secondo mistero doloroso troviamo ben assimilata e superata dal silenzio di Gesù davanti a Pilato. Anzi, il suo non difendersi porta Pilato stesso a sperimentare una collera talmente frustrante e impotente da infliggere a Gesù la flagellazione per mano dei suoi centurioni. Il terzo atteggiamento psichico verso la propria morte è quello del “venire a patti”, cioè del “forse possiamo riuscire a fare una specie di accordo con i medici, con Dio, ecc.”, che possa rimandare l’inevitabile evento. Ed è proprio quello che è successo, ad esempio, nel terzo mistero doloroso, dove Gesù non si oppone all’incoronazione di spine da parte dei soldati romani, accettandola da loro come ironica corona regale: Gesù accetta e perdona. Il quarto stadio del morente è la depressione, nel senso che non potendo più negare la sua malattia incurabile, quando è costretto a subire altri interventi e comincia ad avere altri sintomi o diviene più debole e magro, allora non può più essere disinvolto e sorridente. Il torpore o lo stoicismo, la collera e la rabbia vengono presto sostituiti dal senso della grave perdita che subisce. E allora il malato cade nella depressione. È quanto accade nel quarto mistero doloroso, la salita al Calvario: Gesù cade numerose volte sotto il peso della croce; ma cade anche sotto gli sputi e lo scherno della folla. E infine l’accettazione. Se il malato non è colto da morte improvvisa, ma ha avuto il tempo sufficiente ed è stato aiutato a superare le fasi sopra descritte, raggiunge uno stadio nel quale sembra che il dolore se ne sia andato, la lotta sia finita e sia venuto il tempo per il riposo finale prima del lungo viaggio. Il tutto è ben delineato dall’ultimo mistero doloroso, quello della morte di Gesù in croce: quando, dopo l’accettazione della straziante esperienza dell’abbandono dal Padre, dice con ulteriore accettazione: “Nelle tue mani rimetto il mio Spirito”. Nei misteri gloriosi troviamo invece una descrizione molto dettagliata della psicologia evolutiva dell’uomo al di là del tempo e dello spazio, del suo destino dopo la morte. Ed è una psicologia tutta incentrata sul contrario della paura, e cioè il desiderio. Come è noto, la paura e il desiderio sono sentimenti che accompagnano sempre l’uomo. Nei misteri gloriosi troviamo espressa proprio la psicologia del vero desiderio, descritto brillantemente da un continuo riferimento spazio-verticale rivolto verso l’alto (mistero dell’Ascensione di Gesù, oppure mistero dell’Assunzione di Maria), ma anche rivolto verso il basso (mistero della discesa dello Spirito Santo nella Pentecoste). Persino il mistero della Resurrezione di Gesù e dell’Incoronazione di Maria non fanno altro che collocarsi su dimensioni extra spazio-temporali, per dirci che non possiamo vivere come se ignorassimo il senso e la conclusione di tutte le cose. Il frutto di questi misteri gloriosi è il desiderio del cielo, l’unico vero desiderio struggente nel cuore dell’uomo. L’uomo è un essere del desiderio che non sa cosa cerca, affamato d’assoluto, non conosce il nome della sua fame che sostituisce con dei surrogati o degli alimenti sostitutivi. Non è un caso che tutta la psicologia freudiana si basi sul concetto di libido, termine latino che sta per desiderio; solo che Freud intendeva il desiderio sessuale, perché per lui l’uomo non era altro che un animale sessuale che ha fame di accoppiarsi per riprodursi. È tempo di tornare al buon senso e denunciare certe evidenze che sono sotto gli occhi di tutti, e cioè che l’uomo ha bisogno di relazionarsi con amore, di entrare in contatto con l’altro e di donarsi generosamente. Il più grande desiderio che un bambino prova è di far parte della famiglia dove è nato, di essere accettato come parte integrante di essa, per cui respira e vive solo in quanto frutto di relazioni con la madre prima, col papà dopo e con i fratelli o sorelle in seguito. Per cui non è il semplice desiderio della madre come figura sostitutiva del cibo, o meglio il desiderio del seno a cui si attaccherebbe il bambino in piena fase orale per soddisfare lo stomaco; non è quindi il desiderio del pane, come non lo è il sesso, il vero e grande desiderio dell’uomo, mentre lo è il desiderio del cielo, la libido coeli portatrice di pienezza, di assoluto, di infinito, di eterno” Non dimentichiamo che l’uomo reca in sé il marchio della Trinità, e solo vivendo rapporti trinitari d’amore incondizionato con gli altri, riesce a soddisfare questo desiderio di “amare ed essere amati”, di “dare e di ricevere”. Perché solo il suo appagamento ci permette di ritornare da dove siamo partiti, cioè alle nostre vere origini, che sono quelle del cielo, proprio come ci indicano i misteri gloriosi.