Prove tecniche di dialogo

Quando è stato chiesto al presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, mons. Michael Fitzgerald, di spiegare cosa significasse l’affermazione che il dialogo fa parte dell’evangelizzazione cristiana, si è udita una risposta completa, conclusa con l’affermazione: Se voglio essere un vero cristiano, debbo in cuor mio desiderare che voi diventiate cristiani. Un desiderio, un annuncio di Gesù Cristo rispettoso dell’altro e della sua visione di fede. Una risposta chiara e senza equivoci. Al che un medico algerino, Farouk Mesli, ha preso la parola: Mi sembra logico, eccellenza, anche noi desideriamo che tutti diventino musulmani. Sorrisi, amicizia e simpatia: la chiarezza non ha scalfito il rispetto reciproco, ma al contrario è sembrato rafforzarlo. Dall’identità senza compromessi s’apre l’ascolto, il confronto e il dialogo e, perché no, l’amore. Dimora accogliente Questo episodio mi sembra riassumere assai bene la sostanza del simposio islamo-cristiano promosso dai Focolari a Castelgandolfo. Una iniziativa avviata in un periodo in cui le relazioni tra musulmani e cristiani non attraversano un momento dei più felici, soprattutto per le complicazioni introdotte dagli annosi e noti problemi politici e sociali che, secondo taluni, dovrebbero addirittura portare ad uno scontro tra civiltà. Proprio questa prospettiva è parsa assai remota nel corso del simposio, in cui un centinaio di musulmani e altrettanti cristiani si sono confrontati su un tema vasto come l’unione con Dio, declinata soprattutto nella dinamica tra amore e dolore. Titolo del convegno: Chi è Dio per noi – Ma’arifatu Allahi bialnisbati lana. Come accade nell’ambito dei Focolari, non bisogna immaginare di incontrare in questi simposi – se ne sono già tenuti due indù-cristiani ed uno buddhista-cristiano, mentre il mese prossimo ne è in programma uno ebraico-cristiano – un gruppo di cattedratici avvinghiati alle loro tesi, intenti a mettere in moto ogni strumento razionale per confutare le tesi altrui. Altro è il metodo di tali simposi, come spiega Giuseppe Maria Zanghì che, insieme a Natalia Dallapiccola, cura il dialogo interreligioso del movimento. Siamo qui chiamati da Dio per vivere insieme la nostra realtà più bella e preziosa – ha esordito -, l’esperienza dell’essere chiamati da Dio. Rispondere esige da ciascuno di noi che Dio sia veramente tutto per lui; che ciascuno di noi sia pronto a dare tutto per Dio, a seguirlo dove egli ci chiama. Con questa premessa, ecco aperta la sfida di riscoprirsi fratelli. Come? Cercando una possibile composizione armoniosa delle differenze, da raggiungere comunicandoci con lealtà e sincerità i doni che Dio ha elargito a ciascuno di noi. Ha concluso Zanghì: Per questo è necessario che ciascuno di noi sino in fondo sia sé stesso, fedele ai doni che Dio gli ha fatto, gli fa. E questi doni offra in regalo, in comunione, agli altri. Per questo, è necessario che ciascuno ascolti sino in fondo l’altro, senza pregiudizi, vuotandosi di sé per essere per l’altro dimora accogliente. Un dialogo vissuto basato su quanto costruito in quarant’anni di lavoro tra focolarini e amici musulmani. L’unione con Dio Abramo, padre comune, è stato presente nello spirito dei partecipanti come gigante – è ancora Zanghì -, un modello stupendo per tutti noi. Quell’Abramo di cui noi siamo discendenza. Quell’Abramo – scrive Paolo di Tarso – che è padre di tutti noi… Egli ebbe fe- de, sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli. Quell’Abramo, come dice il Corano, che Dio ha eletto in questo mondo, e, nell’altro egli è fra i buoni. Su questa base, i primi interventi sono stati affidati da parte cristiana a mons. Piero Coda (Dio è Amore), e da parte musulmana al professore giordano Amer Al- Hafi dell’Università al- Albeit (L’essenza della ibada nell’Islam). Il primo, parte da Gesù, Parola eterna di Dio fatta uomo, che rivela l’amore di Dio come Padre e offre la sua vita sulla croce, aprendo così uno squarcio sul mistero più profondo di Dio. L’amore non è soltanto uno dei suoi attributi, non è soltanto il nome che descrive il suo agire nei confronti delle creature. L’amore è il Nome che dice agli uomini l’essere di Dio… L’amore è la presenza di Dio stesso in noi, perché è effuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (Rm 5, 5). Il secondo, da parte sua, ha affermato come l’al-ibada sia il termine unitario che definisce tutto quello che Dio ama e approva nel comportamento dell’uomo: parole, atti manifesti e intenzioni. Essa non si limita soltanto alla preghiera, alla zakat (elemosina legale), al digiuno, al pellegrinaggio e a quanto ne deriva come preghiera, meditazione e pentimento… Poiché Dio ha creato l’uomo affinché lo adori e lo scopo della sua vita è l’ibada/adorazione, allora essa è un programma di vita che coinvolge tutti gli atti concernenti la sua vita. Parole che hanno fatto meditare profondamente i presenti; ma la potenza dell’unione con Dio, nelle due religioni, è emersa soprattutto dalle testimonianze offerte da uomini e donne appassionati del loro Dio e dell’amore. Ed è tale passione che non solo ha trasformato le singole persone, ma le ha fatte capaci di influire sulla società, nella politica, nell’economia, nel diritto…; singolarmente e in comunità. Dolore e amore L’unione con Dio e l’amore reciproco fanno sperimentare una sua tipica presenza nella comunità dei credenti. Ne parlano le teologhe Shahrzad Housmand, iraniana, e Judith Povilus, statunitense. Ha detto la teologa persiana: Il Corano ci porta ancora più lontano, proprio come se volesse presentarci Dio, quasi come una persona accanto alle persone… Mistero! Ecco il passo: Non vi è conversazione a tre dove egli non sia il quarto, né di cinque dove egli non sia il sesto. Siano meno o più, egli è con loro ovunque si trovino (58,7). Sì, se sono tre persone a conversare tra loro, Dio è lì con loro, non come un essere astratto, invisibile e lontano. Tutto al contrario, Dio è con loro, accanto a loro. Mentre Judith Povilus ha presentato la visione cristiana della presenza di Dio nella comunità: La presenza di Dio fra cristiani che si amano è legata in modo esplicito a Cristo. Ciò è vero non solo perché il comando dell’amore reciproco ci è stato trasmesso in modo inequivocabile da Gesù, ma anche perché egli stesso ha promesso di essere in noi e fra noi… dove due o più sono riuniti nel suo nome (Mt 18, 20). Crediamo quindi che se ci amiamo secondo il suo comando egli è presente fra noi… e ci porta la presenza di Dio. Un aspetto che ha particolarmente toccato i presenti è risultato il tuffo nella realtà insopprimibile del dolore. L’algero-tunisino Adnane Mokrani – dottore in Algeria e al Pisai di Roma – e Natalia Dallapiccola – prima focolarina a seguire Chiara Lubich – hanno preso per mano i presenti e, in letture che talvolta parevano più mistiche che teologiche, hanno mostrato quanto nel mistero del dolore Dio si manifesti compiutamente. Ha detto Mokrani: La natura stessa della vita umana sulla terra è prova, ibtila¯’, la terra è proprio la casa della prova, da¯r al-ibtila ¯’. Tuttavia il concetto della prova nell’islam non si limita al dolore e alla sofferenza, li contiene ma va oltre, inglobando tutta la vita: tutto è prova, i beni e le gioie inclusi… La dottrina islamica insegna che niente succede nella vita senza il permesso di Dio, niente è fuori della sua presenza o scappa dalla sua saggezza, anche quando non riusciamo a discernerne il senso. L’incomprensione è la conseguenza della nostra ignoranza e limitazione, cioè della nostra condizione umana, ma certamente c’è un senso nascosto che affidiamo al Signore; questo affidamento totale, un atto di fiducia assoluta nel disegno divino, è l’essenza dell’Islam, etimologicamente e teologicamente. Natalia Dallapiccola da parte sua, partendo dall’esperienza ha mostrato come per il cristiano il mistero della morte di Gesù sia centrale, in particolare allorché grida l’abbandono: Scriveva Chiara in una lettera: Dimentica tutto… anche le cose più sublimi; lasciati dominare da una sola idea… che ha da penetrare ogni fibra del tuo essere: da Gesù crocefisso… Lui deve essere tutto per te. Abbiamo incominciato a vederlo dovunque, in tutti gli aspetti dolorosi della vita. Ogni nostro dolore ci appariva, e ci appare, un suo volto da amare e volere per essere con lui, come lui. Anche in questo caso, le testimonianze di vita, dai quattro angoli del mondo, hanno portato la riflessione su un campo esistenziale ed esperienziale nel quale la vicinanza della fede vissuta e dei suoi frutti è risultata a volte sorprendente. Due assenti-presenti Sono due persone assenti fisicamente che hanno dato tuttavia il tono a tutto il simposio. Presentissimo è stato il papa appena scomparso, Giovanni Paolo II, reso vivo e vicino dalle calde parole di mons. Fitzgerald, che ha ripercorso l’impressionante serie di gesti profetici e di parole d’apertura che papa Wojtyla nei suoi 27 anni di pontificato ha saputo mettere in atto. A cominciare dalle visite in Egitto e in Siria del 2000, in particolare alla moschea di Damasco. Chiara Lubich, impossibilitata a partecipare al simposio, non ha mancato di essere presente con la sua conversazione sull’unione con Dio nella vita del cristiano e con un messaggio: Sono sicura che l’amore di Dio che tutti ci avvolge vi farà sentire ugualmente questo clima di calore, di famiglia in cui ci proponiamo di passare queste giornate assieme. E Giuseppe Maria Zanghì, col suo tema Dio Amore in Chiara Lubich, ha mostrato come l’unità di cui si parla nel movimento e che si cerca di vivere è la vita vissuta nell’amore che è Dio, come la fondatrice dei Focolari ha sempre affermato. Commentava in conclusione Allal Bachar, direttore del Centro di studi islamici e arabi in Spagna e imam della moschea di Marbella: Il loro esempio ci indica la strada del dialogo vero, quello che cambia i cuori. Mentre Mir Nawaz Marwat Khan, ex ministro della giustizia pakistano, sintetizzando il convegno, coglieva la straordinaria grazia che Dio ci ha dato di conoscere la sua presenza in questo simposio.

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