Prove di un nuovo quadro politico
L’antefatto è la decisione del ministro Passera di mettere all’asta le frequenze televisive già destinate dal passato governo alla distribuzione gratuita: una decisione potenzialmente destabilizzante, tanto da poter mettere a rischio la tenuta del governo Monti. Ma poiché è ragionevole escludere gesti avventati e isolati da parte di un ministro (per di più, con lo spread che risale a 400 e l’incubo default che si ri-materializza), diventa altrettanto ragionevole immaginare che la decisione, certo rischiosa, sia mitigata nel suo rischio dalla possibilità che la norma passi in Parlamento con una maggioranza rivisitata.
Che sta succedendo? Forse si sta innescando un effetto domino che porterà in breve a riscrivere la geografia politica nazionale.
Gli allarmi che si diffondono da tempo nel Paese, hanno ormai come bersaglio principale la classe politica e in specie i partiti. Non perché l’economia vada meglio; al contrario, è proprio la fatica che stiamo facendo ad uscire dalla crisi che fa individuare il ganglio vitale del sistema nella necessità di una politica seria, capace, efficacemente duratura. E più si avvicina il termine dell’esperienza del governo tecnico, più ci si domanda sgomenti: «E dopo?». I sondaggi registrano implacabili la sfiducia verso le formazioni partitiche attuali e la crescita del dissenso e della resa negli elettori. La somma del voto perso (astensione o scheda bianca o nulla) più voto di protesta (Grillini, ma possiamo aggiungere Idv e Lega) certamente fa la maggioranza, ma non fa un governo. La maggioranza della minoranza residua, come che sia, andrà a governare.
Se si dovrà scegliere tra gli attuali partiti e dirigenti, c’è poco da stare allegri: insediato il governo, se mai il default si sarà evitato fino a quel momento, con buona approssimazione si deve temere che ne tornerà immediatamente lo spauracchio. Se ne rende conto qualcuno dei nostri politici ed ecco innanzitutto l’iniziativa di Casini. Consapevole che una carta forse decisiva da giocare è poter proporre agli italiani un ministro di punta dell’attuale governo, senza però attaccargli addosso la zavorra dei vecchi partiti, il leader dell’Udc ha imboccato la strada più radicale: la fondazione di un nuovo partito, che torna a guardare là dove naturalmente guardava l’Udc, a destra. E infatti, l’indomani il senatore Pisanu fa appello al Pdl di aprirsi per partecipare «ad un nuovo movimento liberaldemocratico, laico e cattolico, nazionale ed europeista». Prove di nuovo centro-destra, insomma.
Angelino Alfano, forse per arginare l’effetto destabilizzante dell’appello di Pisanu su un Pdl profondamente infragilito e traballante, contro-annuncia «la più grossa novità della politica italiana, che ne cambierà il corso nei prossimi anni», rinviata però a dopo le amministrative (così, nel frattempo, il partito sta buono).
Se a questo aggiungiamo il terremoto in atto nella Lega Nord, i mal di pancia nel Pd, le trame che si tessono dietro le quinte e che quanto meno vedono impegnati Luca di Montezemolo e Emma Marcegaglia (liste “civiche”?), ecco che ce n’è abbastanza per pensare che alle prossime politiche avremo un’offerta diversa da quella che presenta l’attuale parlamento. Tali iniziative politiche sono quindi da guardare con simpatia, purché non si riducano al solito gattopardismo. Certo, il realismo ci fa considerare da subito che il “nuovo” non potrà mai essere totalmente tale; ma il “vecchio”, però, non deve restare maggioranza.
Sotto questo profilo i primi accenni non sono confortanti: l’appello dei 29 senatori, infatti, ha come primi firmatari Beppe Pisanu e Lamberto Dini. Quest’ultimo ha purtroppo già fatto registrare una certa tendenza ad abbandonare il perdente di turno per montare tempestivamente sul carro del vincitore o presunto tale e speriamo che tra i firmatari, accanto a politici di provata buona volontà, non vi siano troppi calcolatori. Anche Casini, se ambisce a stare al timone di un passaggio cruciale della storia del Paese qual è il presente, deve raccogliere senza mezze misure questa sfida. In un’epoca in cui tutte le cose più alte sembrano acquisibili a buon mercato, la “novità” capace di ridare al Paese una politica alta e nobile, non può che essere pagata col prezzo che costa: abbandono delle cariche da chi ha già tanto dato (e avuto); linfa nuova fatta di competenza, onestà e vocazione; costruzione del consenso non attorno all’utilità personale ma all’interesse generale; regole serie, rigorose e sanzionate per i partiti, vecchi o nuovi che siano.