Proteste sociali in Brasile e Argentina
Ma cosa sta succedendo in Brasile e in Argentina? Centinaia di migliaia di persone manifestano in strada contro la gestione dei rispettivi governi; la presidente Dilma Roussef è stata sonoramente fischiata allo stadio Maracanà all'inaugurazione della Confederations Cup; Cristina Kirchner insultata a pie' sospinto dai manifestanti. Eppure si tratta di governi con un chiaro stampo popolare e che hanno certamente contribuito a migliorare la situazione sociale dei loro Paesi.
Lo stupore ha ammutolito anche i più prestigiosi analisti brasiliani. Le due settimane di manifestazioni che si sono finora susseguite sono state un vero fulmine a ciel sereno per le autorità del Brasile – un Paese dove non è frequente la protesta massiva, soprattutto quando non è gestita da partiti e sindacati – e hanno raccolto pian piano l’adesione della gente. I 1.500 manifestanti raccoltisi all’inizio per contestare l’aumento del costo del biglietto dei trasporti pubblici si sono moltiplicati in decine di città, obbligando tra l’altro le istituzioni a fare marcia indietro e ad annullare l'aumento disposto, prima a Brasilia, Ciritiba, Blumenau, Porto Alegre e, alla fine, anche a Rio de Janeiro e São Paulo. Dilma Rousseff, con il suo passato daguerrigliera, non poteva non dichiarare la legittimità della protesta pacifica. Cosa che ha fatto anche l’ex presidente Lula, l’ex sindacalista esperto in protesta sociale.
Un atteggiamento ben diverso, rispetto a quello delle autorità brasiliane, è stato quello adottato dalla presidente argentina che ha pronunciato critiche acide e, spesso, maligne. Cristina Kirchner, e con lei i dirigenti principali del suo partito, ha prima ignorato e poi sminuito l’entità della protesta. In piazza, nella terza manifestazione spontanea che c'è stata, si è arrivati a contare un milione di persone. Ma per lei e per il suo governo si trattava di lamentele settoriali, di destra, espressione delle classi medie «che non possono comprare i dollari come prima per viaggiare a Miami». La risposta a una protesta che non presentava leader visibili, discorsi programmatici e neppure punti ben determinati e articolati è stata quella della sfida elettorale: formate un partito e ne riparliamo alle elezioni.
Reazioni diverse a situazioni diverse (25 per cento di inflazione negata dal governo argentino, 5,5 per cento ammessa e combattuta apertamente dall’esecutivo brasiliano), a volte problemi comuni (la corruzione, ad esempio), ma anche certe similitudini: la reazione spontanea a un malessere, a una distanza con la classe dirigente che non si riesce a diminuire, la maggiore coscienza dei propri diritti come cittadini e la volontà di intervenire nelle decisioni che influiscono nella vita di tanti.
Forse il punto in comune rispetto a quanto accade in Brasile e Argentina nasce proprio dai passi in avanti registrati in questi anni: il miglioramento delle condizioni di vita ha prodotto anche l’acquisizione di una maggiore coscienza dei criteri di giustizia sociale e del modo in cui vengono usate le risorse pubbliche. Spesso chi ha poco e niente, chi vive nella miseria, reagisce meno di chi ha cominciato a sperimentare benefìci come l’accesso all’istruzione e alla salute. E nei confronti di questi servizi comincia a formarsi anche una visione critica.
È la coscienza di appartenere alla parte piena della bottiglia che permette di vedere anche la parte vuota. Si ammette ovunque che nella regione latinoamericana si è verificata una crescita della classe media. Ma i governi devono convincersi che ciò oggi non è sufficiente per riscuotere continui applausi, soprattutto quando esistono ancora sacche di inefficienza, di sperpero e di clientelismo: siamo nell’era delle reti sociali, di Internet, dell’accesso all’informazione. La crescita della mobilità sociale oggi deve essere accompagnata anche da una evoluzione partecipativa ai processi di decisione politica. Inoltre, la critica alla qualità dei servizi e alla corruzione, spesso accompagnata dall’impunità, sta dicendo che bisogna pensare anche a come rendere conto della gestione.
Vanno trovati i meccanismi per uscire da schemi ormai superati e approdare a una migliore qualità democratica, con frequenti riscontri nella cittadinanza. È quanto indicano ormai da tempo decine e decine di organizzazioni non governative che, ad esempio, propongono strumenti per la trasparenza e la partecipazione. Siamo, dunque, di fronte a una crisi di crescita. C'è dunque l’opportunità di fare meglio.