Proteste (anche violente) contro il Dpcm
I ristoratori gridano forte il loro “no” alle chiusure anticipate al pomeriggio: non vogliono pagare il prezzo di una crisi che, durante il lockdown, ha già colpito pesantemente la categoria. Non vogliono pagare il prezzo di provvedimenti decisi in extremis dal governo per arginare una possibile crisi sanitaria: gli ospedali sono al collasso, i reparti Covid sono pieni, i reparti di Rianimazione, nonostante gli ampliamenti decisi nei mesi scorsi, rischiano di essere insufficienti. Se i numeri dovessero aumentare ancora, si correrebbero seri rischi.
Si attendono le misure del governo. Il Consiglio dei ministri deciderà questa sera i provvedimenti per cercare di dare un ristoro, almeno parziale, alle categorie che sono più danneggiate: a ristoratori, operatori turistici, ma anche della cultura, dello spettacolo e dello sport. Il decreto ha fermato, fino al 24 novembre, teatri, spettacoli, convegni, palestre.
Ma le proteste di piazza hanno dato la stura anche ad altro tipo di manifestazioni. Spesso, troppo spesso, malavitosi e piccole gang si sono affiancate o, in alcuni casi, sostituite. I risultati li abbiamo visti nelle immagini televisive: cassonetti a terra o dati alle fiamme, lanci di bombe carta e di bottiglie, vetrine sfondate. Non sono certo i commercianti a distruggere le loro attività! La Polizia ha caricato per disperdere i manifestanti: due poliziotti e un giornalista sono rimasti feriti. A Torino ci sono una decina di fermati, molti dei quali provenienti dagli ambienti ultras. I commercianti e i ristoratori hanno preso le distanze: quella non è più la loro protesta.
Torino, Milano, Napoli, Trieste, Siracusa, Catania: la protesta monta dappertutto. E poi Venezia, Roma, Cagliari, Catanzaro, Palermo, Trento, Bari. Con l’hashtag #siamoaterra. E con un grido «Libertà!» che spesso si mescola al fronte dei negazionisti.
Gli infiltrati, con caratteristiche diverse, riescono a montare la piazza, a dare la stura alle violenze ed alla devastazione. Ci sono gruppi di ultras, gang cittadine, organizzazioni neofasciste. In alcune città ci sono gruppi di Forza Nuova, in altre esponenti dei centri sociali. A Torino ci sono cinque fermati, a Milano una trentina di persone sono state condotte in Questura. Le proteste si sono svolte in più fasi e in più luoghi: in viale Buenos Aires e davanti alla sede della regione i momenti di tensioni più forti ed il lancio di petardi e bombe carta.
A Napoli le immagini raccontano di una vera e propria guerriglia urbana, soprattutto al quartiere Vomero. La Polizia sta monitorando una situazione che potrebbe diventare esplosiva perché alle spalle c’è una tensione sociale pesante. Anche a Trieste, un gruppo ben preciso, all’interno di una manifestazione di commercianti, ha dato vita ad azioni di violenza. A Vittoria, nel ragusano, un gruppo di ristoratori si dà appuntamento in una piazza per decidere alcune forme di protesta. Ad attenderli ci sono altre persone. Quando il corteo, rumoroso e vociante, inizia il suo percorso, i ristoratori non ci sono: sono andati via!
A Roma, sono i gruppi di destra ad organizzare alcune proteste ed è stato fermato un ultras della Lazio. I manifestanti lanciano bottiglie e bombe carta contro la Polizia. Difficile delineare, in maniera univoca, il fronte della protesta e le caratteristiche degli infiltrati. Le situazioni sono diverse, da città a città. Ma nei momenti di tensione è più facile, per i facinorosi, insinuarsi e cavalcare l’onda della protesta. Talvolta fianco a fianco con le categorie, tal’altra addirittura soppiantandole e sostituendosi ai primi organizzatori. Ma la protesta riesce anche ad essere civile ed ordinata: a Siracusa, qualche disordine, ma l’immagine più emblematica e quella dei rappresentanti delle palestre e dei ristoranti, seduti a terra, in maniera pacifica, in piazza Duomo.
Ci sono dei tentativi di trovare delle soluzioni. A Cagliari si cerca di istituire delle isole pedonali che permettano ai ristoratori di mettere fuori i loro tavoli nelle ore diurne. Non basterà e la logistica non è sempre funzionale. Le distanze tra l’area pedonale e i ristoranti è eccessiva.
Resta il dato di fatto: alcune categorie, che hanno speso ed investito per adeguarsi alle nuove regole, oggi sono costretti a fermarsi. Il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, ha parlato di «sacrificio necessario», ma la delusione e l’amarezza è tanta. Molte attività saranno costrette a chiudere o hanno già chiuso. Si perdono migliaia di posti di lavoro, l’economia indietreggia. Il rischio è che la recessione possa durare molti mesi. Troppi per permettere la sopravvivenza di tante famiglie. Il governo lo sa e si dovrà correre ai ripari.