Prossimità
È una parola che va di moda. Spero che l’onda di frivolezza che invade la nostra cultura non la inflazioni al punto di renderla inutile. Invece, si tratta di un concetto fondamentale. Vale la pena approfondirlo con rigore, in modo che resista all’usura del tempo e rimanga un imperativo etico, un faro capace di indirizzare le coscienze e produrre vita nuova, relazioni autentiche.
Tra gli autori che si sono impegnati (prima ancora del sorgere della pandemia) in questo scavo teorico-pratico, un filosofo spicca sopra gli altri: Josep Maria Esquirol col suo La resistenza intima. Saggio di una filosofia della prossimità (Vita e pensiero, 2018).
Pensieri come: «Gli altri sono il focolare originario» di Jan Patocka (citato nel libro) o «L’esistenza umana inizia nella casa che è l’altro» (dell’autore), fanno pensare. C’è una ripresa del concetto di “casa” che non è un anacronistico e sterile intimismo (deformazione della vera intimità), ma un vissuto esistenziale che risulta indispensabile per condurre una vita degna della persona.
Per Josep Maria Esquirol, casa è sinonimo di umanizzazione della società, per superare il nichilismo o la mancanza di senso. Casa è radice di una vera ecologia integrale. Costruire una casa per l’umanità, con radici nella terra e aperta al cielo, è l’utopia che dissipa tutte le distopie che ci minacciano, la rivoluzione sociale che il mondo aspetta.
Di fronte alla crisi di liberalismo, comunismo e comunitarismo, è urgente ripensare la comunità. Al contrario delle ideologie menzionate poc’anzi – piene di astrazione e povere di incarnazione e concretezza –, la comunità si centra sulla inviolabilità della persona, sulle sue condizioni reali e sul dinamismo di relazioni come paternità e maternità, figliolanza, amicizia.
“Ritornare a casa”, o avere una casa dove rientrare, rappresenta una necessità umana inesorabile. Ma non si tratta di rinchiudersi o isolarsi, impauriti dal freddo esterno. La casa non è un rifugio per codardi. Ciò che ci vincola con l’esteriorità “non sono le muraglie”, ma le aperture. A casa si torna perché si esce. Il ritorno non è abbandono della socialità o della politica, ma un entrare per ricrearla, per uscire con significati e parole nuove, rinforzate al calore del dono, dell’amore, della prossimità.
Coloro che coltivano un’intimità aperta, mentre si prodigano nel tenere bene la propria casa, pongono le basi per una costruzione ancora più bella e definitiva: fare del mondo una casa. Una casa per tutti, senza esclusi, senza paria di nessuna specie.