Proserpina di Wolfgang Rihm
Il primo Fast Forward Festival di Roma, dedicato al teatro musicale contemporaneo, diretto da Giorgio Battistelli, ha chiuso i battenti con l’opera in un atto e cinque scene del tedesco Wolfgang Rihm. Tratto dal mito greco rivisitato da Goethe, il dramma è senza speranza, perché Proserpina non potrà mai uscire dagli inferi.
Una sola scena sul palco evidenzia la dea che da bambina diventa ragazza e poi donna, scoprendo man mano la negritudine della morte che l’avvicina e la persuade del suo destino. Una scena coperta di tele finissime, corpi nascosti di colore rosaceo come certe tele di Picasso, la solitudine su cui si alzano i declamati della dea fino allo svelamento della sorte finale tra un nero vischioso che tutto avvolge destano nello spettatore un senso di oppressione di fronte all’avanzare del male.
Proserpina piange, grida, si lamenta: il tessuto vocale è assai aspro con salti di registro lancinanti, mentre la piccola e ben compatta orchestra diretta da Walter Kobèra accompagna i sussulti dell’interprete preferendo sonorità ora acute ora grevi per non dire sotterranee. L’insieme è doloroso. Il soprano Mojca Erdmann è straordinaria nell’affrontare di petto un personaggio così disperato e una vocalità impervia, che rovinerebbe altre ugole meno robuste.
Si immedesima totalmente nella dea e noi cogliamo così la tragedia vissuta in fondo dall’umanità vittima di un destino maligno che percuote non solo Proserpina ma tutti noi – il coro femminile, molto preparato – lasciandoci senza luce. La luce infatti dalla prima all’ultima scena diventa sempre più glaciale, elettrica, si direbbe disumana come la musica così feroce della partitura.