Pronto, sono il papa
– Pronto parlo con Daniel?
– Sì, sono io. Chi parla?
– Buon pomeriggio, figliolo, sono il padre Jorge.
– Mi scusi, ma ci deve essere un errore. Non conosco nessun padre Jorge.
– Beh… il papa Francesco.
Segue un silenzio durante il quale Daniel non riesce a parlare.
– Ci sei? Figliolo, stai tranquillo. Ho letto la tua lettera varie volte e non ho potuto evitare di emozionarmi e sentire un dolore immenso leggendo il tuo racconto. Vorrei chiederti perdono a nome di tutta la Chiesa di Cristo. Perdono per questo gravissimo peccato e gravissimo delitto da te sofferto. Perdona figlio mio tanto dolore provocato e da te sofferto. Queste ferite fanno sì che tutta la Chiesa le soffra.
Il dialogo riprodotto, speriamo letteralmente dal giornale spagnolo El País, utilizza un nome fittizio, quello di un giovane spagnolo di Granada che ad agosto aveva indirizzato al Papa Bergoglio cinque pagine dense del suo calvario, cominciato quando abusarono di lui sessualmente. La denuncia di Daniel ha portato all’intervento della giustizia ed all’allontanamento di una decina di sacerdoti della diocesi accusati di pedofilia. Un fatto che mette in chiaro due aspetti. Il primo conferma la tolleranza zero del papa di fronte ai crimini sessuali commessi da sacerdoti e religiosi ai danni di minorenni. Le direttrici del papa correggono atteggiamenti che negli anni passati non hanno colto a fondo la gravità del problema che non era solo morale ma anche penale. Insieme alle norme canoniche vanno applicare anche quelle penali dato che si é di fronte a un delitto. Non ci possono più essere tentennamenti in merito. La Chiesa non opera al di fuori della convivenza civile di una comunità, ma al di dentro, dunque si sottomette anche alle sue leggi. Se si vuol dare a Dio quel che è di Dio, va dato anche a Cesare ciò che gli appartiene.
L’altro aspetto che mette in luce questo episodio, è quello di una sollecitudine del papa verso una umanità sofferente, tra l’altro a causa di rappresentanti della Chiesa, rappresentata dal giovane Daniel. Un ansia che in certi casi non può attendere che altri rappresentino al Vicario di Cristo, come veniva indicato nel passato la figura di Pietro, ma che ha bisogno di comunicarsi personalmente, di chiedere perdono, di assicurare una parola di conforto e magari lenire ferite dolorosissime. E per questo utilizza i mezzi più comuni, come il telefono, così come Gesù utilizzava il linguaggio dei lavoratori, dei pescatori o dei contadini.
Bergoglio incarna una Chiesa che non solo attende a braccia aperte, come il colonnato del Bernini di Piazza San Pietro, questa umanità dolente, ma che come il padre nell’episodio del figlio prodigo gli va incontro per riceverlo. E’ la Chiesa, come Bergoglio ha indicato durante il recente sinodo della famiglia, che non attende immobile il ritorno della pecorella smarrita, che non può tornare proprio perché smarrita, ma le va incontro. Una Chiesa ansiosa di uscire dai suoi recinti, di accorrere, di farsi presente, di realizzare gesti amichevoli… come quelle dita del papa sorprese dal fotografo ad afferrare la mano di una guardia svizzera passando al suo fianco, alla quale ha voluto lasciare un saluto. Mai come in quei momenti il papa dimostra di essere latinoamericano: le formalità non lo possono allontanare dai rapporti personali.
Non basta annunciare che Dio è amore. Ma è anche necessario dimostrare che la sua Chiesa vive e pratica questo amore. È dunque una Chiesa più umana quella del papa e, per questo, non meno divina. In fin dei conti un suo grande mistero è proprio quello di Dio che si fa uomo. Che non significa che la divinità si ribassa, ma che l’umanità è innalzata perché divinizzata.