Promessa mantenuta

Alla Serbia il titolo europeo nella pallavolo maschile. Medaglia d’argento per la nazionale azzurra guidata da Mauro Berruto
berruto

«Prometto che faremo di tutto per riportare presto l’Italia a vincere una medaglia importante». Nel dicembre scorso, appena nominato commissario tecnico della nazionale maschile azzurra, Mauro Berruto fece questa promessa ai tantissimi appassionati di pallavolo italiani. «Ma dovremo impegnarci con tutte le nostre forze – aggiunse –, perché i sogni richiedono fatica». Quasi un monito, una filosofia di vita, da trasportare anche nello sport. Per Mauro l’impegno da mettere nelle cose che si fanno è fondamentale, tanto che nella home page del suo sito internet personale ha fatto inserire una frase di Paolo Coelho, uno degli scrittori di romanzi più famosi al mondo, che dice: «Va’ a prendere le tue cose. I sogni richiedono fatica».    

 

Domenica, dopo sei anni di assenza, la nostra nazionale maschile di pallavolo è tornata finalmente a disputare una finale importante. Di fronte c’era la Serbia, in palio il titolo europeo. Si è giocato a Vienna, ma sembrava di essere a Belgrado, con i tifosi azzurri in netta minoranza. Dopo un primo set dominato dall’Italia (25-17), consistente in battuta, perfetta a muro, ottima in ricezione, ecco arrivare nel secondo la reazione d’orgoglio della Serbia (25-20). Poi un terzo ed un quarto set spettacolari, giocati punto a punto, ma vinti entrambi sul filo di lana dai serbi (25-23 e 26-24). Due ore di grande sport, con i nostri ragazzi ed il loro tecnico che alla fine sono rimasti con un pizzico di amaro in bocca per essere andati molto vicini al grande risultato (e per qualche discutibile decisione arbitrale…), ma che allo stesso tempo sono comunque riusciti a portare a casa quella medaglia che il nostro movimento pallavolistico aspettava da anni: promessa mantenuta!  

 

Rispetto alla squadra che lo scorso anno ha conquistato il quarto posto nel campionato del mondo, molte cose sono cambiate: alcuni giocatori (fuori campioni come Fei e Vermiglio, protagonisti in passato di tanti successi azzurri, dentro diverse nuove leve), alcuni titolari, e soprattutto la guida tecnica, con l’arrivo sulla panchina italiana di Berruto. Un uomo amante della scrittura (ha al suo attivo due romanzi), che ha fatto molta gavetta, e ha iniziato la sua carriera di allenatore in un oratorio salesiano di Torino. «Da giovane volevo bruciare le tappe – ha ricordato più volte in questi giorni –, ma poi ho imparato che nella vita devi avere pazienza, fare un passo alla volta».

 

Da quando Mauro è alla guida della nazionale, si avverte che nel gruppo azzurro qualcosa è cambiato: ci sono un entusiasmo, un’armonia ed un’affinità di intenti tutti nuovi. Un esempio? Durante le partite la nostra squadra a volte sembra essere consapevole di avere dei punti deboli, di non essere più la corazzata “invincibile” di un tempo, ma proprio per questo in campo ci si aiuta. Così un eventuale errore di un compagno non viene fatto pesare dagli altri, ma rappresenta piuttosto uno stimolo per dare tutti ancora qualcosa di più. Grande motivatore, Berruto è poi uno che cura ogni piccolo dettaglio. E questo, alla lunga, fa la differenza. Perché se il risultato è affidato essenzialmente ai giocatori che scendono in campo, è anche vero che spesso l’impronta vincente di una squadra dipende proprio da quanto sa trasmetterle il proprio allenatore. Mauro, ad esempio, non pensa soltanto a insegnare una tattica di gioco, non si limita ad allenare i suoi giocatori a schiacciare o a ricevere palloni, a costruire fisici ben preparati facendo alzare dei pesi in palestra: no, Mauro è uno a cui sta a cuore tanto l’aspetto “psicologico” quanto l’aspetto tecnico.

 

Perché un giocatore o un allenatore migliorano se migliora anche l’uomo che c’è dietro: ecco allora che Berruto incoraggia i suoi giocatori a fare delle esperienze importanti anche fuori dal campo. Come fa lui, appena ha un momento libero. Tre anni fa, ad esempio, aveva seguito per un certo tempo gli allenamenti di un gruppo di detenuti dell’ospedale psichiatrico di Castiglione delle Siviere: un’esperienza che lo ha arricchito molto da un punto di vista umano. Così questa estate, prima delle finali di World League, ha accolto con entusiasmo l’invito ad andare in un carcere milanese per assistere ad un torneo di pallavolo a cui ha partecipato una squadra di detenuti (gli “sportivi dentro”, ndr) che si è allenata per nove mesi, due volte la settimana. «Ho detto loro che nessuno era convocabile per la nazionale – ha scherzato il tecnico azzurro –. Questa volta ho fatto solo da arbitro, ma nel prossimo autunno, quando avrò meno impegni, voglio tornare per fare il mio lavoro: allenare». Una promessa, fatta da uno che solitamente le mantiene.

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