Promemoria per una Chiesa divisa
Pubblichiamo l'estratto di un'intervista a Maria Voce del National Catholic Reporter, in occasione del suo viaggio negli Usa.
Poco tempo fa sono stato invitato a parlare ad un’associazione cattolica americana che sta vivendo delle tensioni con la Chiesa (lo so, lo so, a chi non capita?). Anche due vescovi hanno partecipato all’incontro. Dopo la mia solita prolusione sulla necessità di non cadere nella trappola del settarismo, qualcuno mi ha chiesto se vedessi segni concreti di speranza. Stavo per rispondere quando uno dei vescovi, conosciuto per essere un moderato, ha preso la parola. Ha detto che, se stavamo parlando di superare le divisioni, c’è una grande risorsa a cui attingere: i Focolari, un movimento cattolico la cui spiritualità si basa sull’unità. Io ed altre due o tre persone che già lo conoscevano abbiamo reagito con entusiasmo, mentre tutti gli altri sembravano confusi.
Fondato da Chiara Lubich nel 1943, il Movimento ha oggi circa 140 mila membri attivi e due milioni di aderenti in 182 Paesi. In un’epoca di profonde divisioni, è una delle poche realtà che dà prova di unire le persone. Inoltre gode della fiducia dei vescovi e del Vaticano – una cosa non da poco per un movimento laico che include fedeli di altre Chiese e di altre religioni, e le cui regole richiedono che il presidente sia una donna. I Focolari sono poco conosciuti negli Stati Uniti, dove i movimenti mantengono generalmente un basso profilo. Quest’anno però, con il cinquantesimo anniversario dell’arrivo dei primi focolarini nel Paese, potrebbe essere l’occasione per colmare la lacuna: due membri americani del movimento hanno pubblicato il libro Il Focolare: una nuova spiritualità negli Stati Uniti, e la presidente Maria Voce sarà in visita a Washington, New York e Chicago in aprile.
Venerdì scorso sono stato a Rocca di Papa per un’intervista con Maria Voce, conosciuta tra gli aderenti come “Emmaus” (per la cronaca, non sono membro dei Focolari né di alcun altro movimento). Il fatto che i Focolari siano in una posizione unica per aiutare la Chiesa cattolica a sanare le sue ferite è quasi una conseguenza inconsapevole della sua vocazione naturale a promuovere l’unità della famiglia umana. Molti anglicani, ortodossi e protestanti si sono uniti senza per questo lasciare la loro fede; il dialogo interreligioso, come quello con l’ American Society of Muslims fondata dall’imam Mohammed, vanta ormai una lunga esperienza; si sono messi alla prova anche nel campo della politica, cercando di superare le divisioni tra partiti con il Movimento politico per l’unità.
Personalmente, il Movimento mi ha sempre incuriosito anche perché uno dei primi seguaci della Lubich è stato il giornalista, scrittore e politico Igino Giordani. Dopo aver conosciuto i Focolari negli anni Quaranta, si dice che Giordani si sia trasformato dal “martello” che era, sempre in lotta contro i nemici, in un “mantello” che univa e riconciliava. Se il Movimento può convincere un giornalista a mettere la testa a posto, ho pensato, allora può farlo con chiunque.
Ritengo che l’abilità dei focolarini a costruire ponti ha meno a che vedere con programmi o strutture di dialogo predefinite, quanto piuttosto con le loro qualità personali legate a questa spiritualità: tendono ad essere aperti, liberi dal proprio ego, e sempre e comunque sereni. Sfido chiunque a litigare con uno di loro. Un esempio tra tanti: nonostante le sfide al codice della strada del mio autista, bloccato nel traffico romano del venerdì pomeriggio, sono arrivato a Rocca di Papa con 45 minuti di ritardo. Invece di essere seccato, il comitato di benvenuto che mi ha accolto sembrava deliziato per il semplice fatto che mi fossi presentato. Quando mi sono scusato con Maria Voce, mi ha risposto che conosce bene i problemi del traffico romano, se non altro per essere arrivata con un’ora di ritardo alla sua prima udienza con il Papa. Sapendo che avevo un appuntamento successivo a Roma, i focolarini mi hanno poi scortato alla mia macchina alla fine dell’intervista, dimentichi del fatto che avevo promesso di rimanere più a lungo per incontrare altri membri. Nessuno sembrava offeso o deluso, reazioni che mi sarei normalmente aspettato.
Un piccolo episodio, che esemplifica però una realtà più vasta: queste persone sono maestre nell’arte di mettere le persone a proprio agio. Non mi è mai capitato di incontrare un focolarino senza avere la sensazione di essermi fatto un nuovo amico, e questo spirito è condizione indispensabile per promuovere l’unità sia nella Chiesa che nel mondo.
Chiaramente, ciò non significa che il Movimento sia esente da critiche: all’interno della destra cattolica alcuni lo vedono come un “cavallo di Troia” per il sincretismo e il relativismo religioso, mentre da sinistra altri lo ritengono prono alle gerarchie ecclesiastiche e poco disposto a spendersi per una riforma della Chiesa. Come altri movimenti, inoltre, è stato accusato da ex membri di eccessiva chiusura e segretezza. Queste critiche rimangono materia di discussione; ma quali che siano i suoi difetti, il movimento dei Focolari rimane una preziosa risorsa per la grande sfida che il cattolicesimo si trova oggi ad affrontare: capire come la Chiesa può attingere alle sue forze per cogliere le sfide del nuovo millennio, invece che essere consumata da battaglie interne.
Ecco alcune delle domande che ho rivolto a Maria Voce durante l’intervista.
Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario dell’arrivo dei primi focolarini negli Usa: qual è la sua visione dell’esperienza del Movimento in America?
«Credo lo scoprirò una volta lì: quando viaggio, cerco di non farmi idee in precedenza, rischierebbero di diventare pregiudizi. Non conosco bene né l’America né gli americani, essendo il mio primo viaggio sul continente: dovrò andarci con mente aperta, per capire quanta strada abbiamo fatto finora e dove stiamo andando. Certo 50 anni sono una tappa importante. Chiara Lubich ci è stata sette volte, ed ognuna di queste ha visto come gli Stati Uniti siano aperti e sempre pronti ad accogliere il nuovo: ha stabilito contatti con molte comunità, soprattutto con quella musulmana. Possiamo guardare al futuro con fiducia perché le radici sono solide: dopo cinquant’anni, ciò che è stato raggiunto ormai non si perde. Detto ciò, non so di preciso che cosa ci riservi l’avvenire: vedremo».
Gli Usa sono una società molto aperta, ma anche molto divisa, sia in generale che all’interno della Chiesa. Può parlarci dell’esperienza dei Focolari nel promuovere l’unità appunto nella Chiesa?
«L’unità è la ragione per cui esistiamo, ed è anche l’obiettivo della Chiesa. Possiamo dire che è anche quello dell’umanità, perché Dio l’ha voluta come un’unica famiglia. Non vogliamo spacciarci per coloro che detengono il segreto su come raggiungerla, ma certamente parte del carisma che Dio ha dato a Chiara riguarda questo scoprire l’importanza delle relazioni e della reciprocità. La spiritualità dell’unità si esprime in vari modi: nella scelta di Dio come ideale di vita, nella risposta al suo amore, nella coscienza che questo amore non è reale se non si concretizza in quello per gli altri. Questi sono i pilastri che ci consentono di fare un’esperienza di comunione. Naturalmente ciò vale per la Chiesa nel suo complesso. Le divisioni ci sono ovunque: sebbene l’uomo sia fatto per le relazioni, la tendenza ad imporci c’è sempre. Ma questo non ci frena, anzi, ci stimola a portare avanti il nostro carisma con più forza. L’importante è rendersi conto che tutti i gruppi e movimenti nella Chiesa hanno qualcosa da dire e da offrire, se facciamo lo sforzo di conoscerci meglio l’un l’altro, di ascoltare e di aprirci. E questo è vero non solo nella Chiesa, ma nella società intera: come movimento laico, possiamo arrivare anche là dove la Chiesa come istituzione non arriva».
C’è chi vede i movimenti come fattore di divisione all’interno della Chiesa, piuttosto che di unità: crede che queste tensioni siano oggi superate?
«Credo di sì, anche se dipende dalle persone con cui ci si relaziona: un movimento è un’entità astratta, fatta di persone che, nel concreto, possono essere più o meno disposte a collaborare. Ma ciò che conta è il carisma, che dovrebbe promuovere uno spirito di unità».
I movimenti sono poco conosciuti in America, e quindi vengono spesso visti attraverso immagini stereotipate. Una di queste è che siano conservatori. Nei Focolari, tuttavia, sia i conservatori che i progressisti si sentono “a casa”: qual è il segreto?
«Riteniamo che ognuno debba ascoltare la voce di Dio dentro di sé, e che non sia compito nostro sostituirci alla coscienza di nessuno. Ciò significa rispettare la libertà individuale, e credere che anche in campi come la politica, ciascuno ha qualcosa da dire e da offrire attraverso la diversità delle opinioni. Solo così si può andare oltre la singola prospettiva, ed arrivare ad una sintesi che sia il più vicino possibile al bene comune».
Da un punto di vista personale, sente la responsabilità di promuovere il ruolo delle donne all’interno della Chiesa?
«Non nel senso di sentirlo come un peso. Ma credo che l’Opera di Maria abbia il compito di mostrare che ciò che conta non sono le cariche che ricopriamo, ma l’amore che diamo. Proprio perché le donne, nella Chiesa cattolica, non ricoprono formalmente delle cariche, hanno maggior capacità di dimostrare questo primato dell’amore. Credo sia un valore per la Chiesa, e che la Chiesa lo stia scoprendo. Anche gli uomini del Movimento ne sono consapevoli e grati, e si sentono corresponsabili in quest’opera».
(traduzione di Chiara Andreola)