Profughi afghani, segnali di apertura dalla società civile

L’accoglienza dei profughi dall’Afghanistan mette in crisi l’Unione europea. Segnali in controtendenza dalla società civile. L’iniziativa del Movimento dei Focolari Italia
Profughi Afghanistan (Qatar Government AP)

L’emergenza profughi dall’Afghanistan, ritornato sotto il regime talebano, è al centro delle preoccupazioni dei Paesi europei. Il ponte aereo da Kabul interrotto al 31 agosto ha permesso di mettere in salvo solo alcune migliaia di persone esposte a ritorsioni di ogni genere.

Lo scenario di un esodo di massa della popolazione era facilmente prevedibile dato che nel 2020, con il Paese ancora sotto protettorato occidentale, l’Afghanistan è risultato, secondo i dati dell’Unchr, tra i primi 3 stati per numero di  migranti forzati.

Sono in buona parte afghani i migranti picchiati e respinti violentemente sul confine della Ue come abbiamo esposto su Città Nuova grazie alle testimonianze sulla Rotta balcanica.

«Davvero il nostro Occidente ha forza e senso dietro a un recinto permeabile alle merci e impermeabile ai poveri e ai perseguitati?» ha chiesto apertamente Marco Tarquinio su Avvenire del 2 settembre, per poi precisare la domanda «Davvero pensiamo che il nostro contributo di europei al futuro comune dell’umanità sia di far affari restando rincantucciati in un sempre più vecchio angolo di Terra?».

Le prossime elezioni politiche in Germania e quelle presidenziali in Francia, hanno di fatto silenziato il dibattito sulla riforma del trattato sulle migrazioni, mentre i Paesi dell’Est e il giovane cancelliere austriaco Sebastian Kurz hanno annunciato la chiusura verso l’arrivo di richiedenti asilo in arrivo dall’Afghanistan.

D’altra parte come fa notare Enrico Di Pasquale sul sito economico de La voce.info, sembra che «la politica europea stia assecondando la volontà popolare, oggi prevalentemente contraria all’immigrazione e all’accoglienza. Ne è la prova l’ultimo bilancio europeo, che ha stanziato più risorse per il controllo delle frontiere che per le politiche di integrazione».

È in tale contesto che va in controtendenza il fiorire, nella società civile, di iniziative di accoglienza e diponibilità concreta ad ospitare le persone provenienti dall’Afghanistan. In particolare il Movimento dei Focolari in Italia ha fatto sapere con un comunicato pubblico che «dal 26 agosto è partito infatti un invito attraverso le comunità locali dei Focolari e le tante persone impegnate a vari livelli in reti locali o nazionali per l’accoglienza e l’accompagnamento degli immigrati».

L’appello entra nel dettaglio invitando a «valutare la possibilità di aprire i centri del movimento, istituti religiosi, canoniche, case parrocchiali, ma anche le proprie case; a intercettare chi sia disposto a collaborare per questa emergenza affiancando i profughi in arrivo; ad avviare collaborazioni con enti e organizzazioni locali».

Una accoglienza spontanea che vede l’impegno di persone e famiglie e di comunità territoriali del Movimento dei Focolari a Pesaro, Milano e Cosenza. Anche al centro Mariapoli di Castelgandolfo (Roma), luogo di incontri residenziali, «alcune famiglie afghane sono state ospitate fin dai primi giorni dell’emergenza». Proficuo poi il rapporto con «enti e cooperative dalle idealità condivise» come «la cooperativa Fo.Co. (Chiaramonte Gulfi, Ragusa) e l’associazione Nuove Vie per un Mondo Unito (Roma) e la cooperativa Una città non basta di Marino (Roma).

Continua, inoltre, la raccolta di fondi per sostenere tali progetti con donazioni da inviare con la causale “Accoglienza Afghanistan” sul conto corrente aperto su Banca Etica. Qui gli estremi per effettuare i versamenti.

La generosità di questa iniziativa di solidarietà, che si aggiunge alle molte altre in corso, si associa alla necessità di non scordare in particolare i diritti e la libertà delle donne afghane come evidenziato nelle manifestazioni promosse in alcune città il 28 agosto dai giovani dell’Economia di Francesco.

«Un lavoro in itinere», come precisa il comunicato dei Focolari Italia, «che deve coniugare l’iniziativa privata con i sistemi di accoglienza predisposti dal Ministero dell’Interno».

Come insegnano le esperienze già in essere in Italia si tratta di lavorare per «fare sistema oltre l’accoglienza» e oltre l’urgenza per una risposta politica coerente a livello nazionale ed europeo.

Come è noto resta difficile affrontare in un dibattito pubblico il nodo degli accordi esistenti ad esempio con Turchia e Libia per trattenere nei loro confini, in condizioni spesso inaccettabili, milioni di profughi provenienti da zone di guerra e altre emergenze. Per restare al caso afgano, prima ancora del ritiro occidentale, si contavano, come riporta Enrico Di Pasquale, «di 2,6 milioni di rifugiati, già in possesso di un titolo di protezione internazionale e accolti principalmente in Pakistan e Turchia, e 2,9 milioni di sfollati interni».

 

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