Profezia, vicinanza e memoria: tre parole del papa ai giovani consacrati
Papa Francesco, fra le altre capacità, ha quella di parlare a tutti anche quando si rivolge a una categoria particolare. È avvenuto anche ieri nel suo incontro con i cinquemila giovani religiosi e religiose convenuti a Roma per il loro convegno nell’ambito dell’Anno per la vita consacrata. Il pontefice ha risposto a braccio ad alcune domande che gli hanno rivolto. Consiglio a tutti di leggere il testo integrale su www.vatican.va: contiene parecchie perle. Ne colgo alcune.
Prima di tutto, sapendo che fra i partecipanti vi erano persone della Siria e dell’Iraq, ha ricordato i “nostri martiri di oggi” di quei Paesi e ha rivelato che porta su di sé una piccola croce di una sacerdote iracheno, «sgozzato per non rinnegare Gesù Cristo».
Tre parole ha evidenziato Francesco. La prima: profezia. Che è capacità di sognare, il contrario della rigidità. «Se l’osservanza è rigida, non è osservanza – ha precisato con forza -, è egoismo personale, è sentirsi più giusti degli altri”. E ha concretizzato alludendo al fariseo della parabola: «Ti ringrazio, Signore, perché la mia Congregazione è proprio cattolica, osservante, e non come quella Congregazione che va di là, e quella di là e di là…». C’è da applicare alle parrocchie, alle associazioni, ai movimenti… (n.d.r.).
Nel contesto della profezia, il papa ha risposto a una domanda sulla “cultura del provvisorio” e ha dato una risposta scultorea, evangelica: «La cultura del definitivo: Dio ha inviato il suo Figlio per sempre, non provvisoriamente».
Profezia che si traduce nella testimonianza «con la tua carne, con la tua vita. Tu potrai studiare, fare corsi di evangelizzazione, ma la capacità di riscaldare i cuori non viene dai libri, viene dal tuo cuore […] che brucia di amore per Gesù Cristo». A questo punto si è rivolto alle donne consacrate, ringraziandole della loro testimonianza di maternità (“non tutte però, ce ne sono alcune un po’ isteriche”, non si è lasciato sfuggire l’occasione per dirlo con la sua arguzia): «La suora è l’icona della Madre Chiesa e della Madre Maria». Questo squarcio apre orizzonti sul femminile della vita religiosa (e della donna nella Chiesa).
La seconda parola è vicinanza. Appena accennata nel contesto del racconto di un’esperienza di una suora argentina, che ha conquistato un “mangiapreti” con la sua carità concreta. «Siate vicini, vicinanza ai problemi, ai veri problemi». Solo queste parole, ma di una pregnanza provocatoria: che cosa intende Francesco per “veri problemi"?
Infine, la terza parola, molto cara al papa: memoria. Tornare sempre alla prima chiamata e «imparare a raccontare la propria vita davanti al Signore». Questo è contrario al narcisismo, al “rispecchiare se stesso”. Lo si combatte con l’adorazione, «la preghiera di adorazione silenziosa: Tu sei il Signore».
Termino ricordando un’osservazione importante che Francesco ha buttato lì en passant: «Gli istituti religiosi sono tutti provvisori: il Signore ne sceglie uno per un tempo, poi lo lascia e ne fa un altro; nessuno ha la possibilità di rimanere per sempre; è una grazia di Dio. Questo sia chiaro». Sono parole nuove, che probabilmente scuoteranno false sicurezze o manie di eternità serpeggianti, più o meno occultamente, nelle famiglie religiose, che sono tentate di attribuire ai loro carismi il carattere dell’immortalità. Con conseguenze penose di Istituti che si trascinano senza più senso né utilità pratica nel presente, ridotti a pochi membri nostalgici. Solo Dio è eterno!