Professione ostetrica
Torno a casa sconvolta dopo il turno di notte in ospedale. Il travaglio di M. è andato bene, ma al parto è subentrata una complicazione: per la mamma tutto a posto, quanto al bambino è stato trasferito in Rianimazione neonatale a Como. Il pensiero di quella creaturina mi assillerà per molto tempo. A distanza di due anni, terminata la messa domenicale in centro, mi si avvicina una signora sorridente… La riconosco: dopo esserci abbracciate commosse, le chiedo notizie del figlio. Sta benissimo – mi risponde -, nulla che non vada . Le confesso: Ho pregato tanto per lui. Lo so!. Eppure non ci siamo mai dette nulla sulla fede: il travaglio non è la circostanza più adatta per parlarne, il mio ruolo è quello di entrare in empatia con colei che assisto, al di là delle sue convinzioni. In quel momento c’è solo lei da aiutare, capire e salvaguardare, come il suo bambino… Tutto lì, un mestiere vecchio come il mondo, eppure ogni volta nuovo, perché diversa è la persona che ti trovi dinanzi: con alcune si parla, con altre no, qualcuna la si accarezza, con l’altra non si può e non si deve, una è da incitare, l’altra da calmare… Giovane e bella, con due occhi grandi e limpidi, che però nascondo- no un pesante segreto… Me ne parla nel mio studio, che io definisco confessionale, proprio per il fatto che ogni donna si sente libera di confidare emozioni, paure… Ha in programma di sposarsi tra sei mesi e desidera essere sicura della sua fertilità; negli anni dell’adolescenza, infatti, si era sottoposta ad una interruzione di gravidanza ed ora teme di non poter più godere del piacere della maternità. Quell’esperienza le ha lasciato un segno indelebile, tanto più che la gravidanza non era dovuta al suo attuale fidanzato. Il quale, però – e nel dirlo le si illuminano gli occhi – le ha assicurato d’amarla per quello che è, anche non potesse più avere figli. Che bello sentirsi amati così! È così che mi sono sentita guardata da Filippo. Ho riflettuto a lungo su quest’aspetto: se credo che Dio mi ama e perdona, anzi dimentica i miei errori, e Filippo mi ama per quello che sono nel positivo e negativo, allora il nocciolo del problema è un altro: so perdonarmi io? amarmi con i miei limiti, le continue cadute? Me la ricordo quando accompagnava la bimba alla scuola materna, con un foulard che le ricopriva la testa ormai senza capelli per le terapie… Incontrandoci la guardavo intensamente, quasi a dirle: Dai, puoi farcela!. Insomma, facevo il tifo per lei e la sua creatura, e penso lo abbia capito. Rivederla ora con una folta capigliatura ben curata mi fa gioire profondamente (ce l’abbiamo fatta!). Ormai c’è un’intesa quasi implicita e viene spontaneo salutarci pur non conoscendoci. Basta uno sguardo: quello di chi ha sofferto è diverso, nasconde un’altra profondità; è come possedesse il segreto della vita. Spesso ho pensato a cosa può aver vissuto in momenti in cui avrà dovuto stringere i denti per il dolore o la fatica o la preoccupazione; o quando avrà dovuto sopportare gli sguardi compassionevoli degli altri… Li ho provati e sono davvero pesanti! Ma nel suo passo c’è la fierezza d’aver sconfitto la malattia. La paura va vinta con l’amore e la fe- de: voglio far mio questo brano del Salmo 21: II Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò paura?. Fa sempre l’ostetrica? mi chiede l’impiegata, con uno sguardo che va oltre la domanda. Sì, sì, rispondo, sorridendo. Chissà perché questa professione ha sempre destato un po’ di curiosità. In effetti, non è così comune e neppure potrebbe essere definita una vera e propria professione, ma più una missione, direi. Certo, tutto dipende da come la si compie, una regola che è la stessa per ogni tipo di professione, però la mia mi sembra così particolare. Forse perché ha a che fare con un mistero che ci trascende, che è quello della vita, che si fatica a pensare racchiusa in una ferrea legge biologica. Da oggi voglio prendermi un po’meno sul serio.Mi succede, infatti, di andare troppo dietro ai pensieri che si susseguono incalzanti su mansioni da compiere, telefonate da fare, cose da dire, appuntamenti da ricordare… Basta! i ritmi devono cambiare: per la mia salute fisica ma anche psichica. Determinante per tale decisione è stato aver incontrato C. dopo tanto tempo: anche lei madre di tre figli, cui è stato diagnosticato, dopo semplici esami di screening, un carcinoma allo stadio avanzato. Ebbene, non l’ho mai vista così bella: Sto bene, mi hanno dato il 2-3 per cento di possibilità di guarigione . Sorprendente! E dire che ormai non le faranno neppure più le terapie; il consiglio è di vivere il meglio che può il tempo che le rimane. Quest’estate ci siamo davvero divertiti… – conclude -: ho capito cos’è la vita vera!. Attonita, ripenso ad alcuni momenti condivisi, come quando mi diceva di sentirsi una trottola nel correre a portare a scuola uno dei figli, lasciare l’altro, la spesa, la casa… Sono ammirata per il cambiamento e, nel contempo, mi chiedo: È proprio il caso di arrivare a questo punto? Spero d’aver capito la lezione della vita!. Di professione fa la camionista: fisico imponente, lineamenti un po’ induriti dalle fatiche che comporta il lavoro stesso, corretti da un filo di trucco che le addolcisce lo sguardo. Si rivolge al Consultorio per interrompere una gravidanza: in fondo ha un lavoro a contratto che le piace molto e non vorrebbe lasciarlo per dedicarsi a quella parte di femminilità che le vive sepolta dentro. L’accolgo nel mio studio, analizziamo insieme la situazione… non c’è giudizio nelle mie parole pacate. Fuori dallo stress del traffico, dalle corse in autostrada per la consegna della merce, siamo donne che si guardano negli occhi, intensamente. Voglio solo che si senta amata, accarezzata da un po’ di dolcezza, che tante situazioni non le permettono di esternare. Terminata la compilazione della cartella, inoltro l’iter da seguire, con vari appuntamenti. Torna il giorno dopo e, anziché l’assistente sociale, cerca di me: Ho deciso di annullare l’appuntamento, perché… lo tengo!. S’illumina in un sorriso che scivola nella commozione di entrambe. Albanese, disperata per la situazione economica precaria, non ce la fa a far fronte alla terza gravidanza. L’ascolto: obiettivamente i conti fanno fatica a quadrare, ma sono certa che troveremo una soluzione. Le chiedo dove abita, per capire se posso esserle di aiuto, magari accompagnandole i figli a scuola d’inverno: è infatti sprovvista di auto, e la strada è lunga al freddo. Mi guarda stupita, come se stessi scherzando… Poi m’informo se i bambini sono vestiti a sufficienza o le occorre qualcosa (in fondo i miei sono un po’ più grandi). Comincia a piangere. Un paio di mesi fa ha tentato di togliersi la vita. Le stringo forte una mano: Non sei sola, Dio ti ama e ti vuole qua a crescer i tuoi figli. Non ci sono persone come te – mi confida in tono di rabbia -, qui la gente non ti aiuta…. Io però conosco persone che possono veramente aiutarti, se vuoi. Annuisce. Con una telefonata l’affido ai vo-lontari del Centro di aiuto alla vita, con cui c’è una fitta collaborazione. Si rassicura, mi abbraccia ed esce sorridendo. Un altro giorno una mamma con un bimbo in braccio in sala d’attesa mi presenta suo figlio nato grazie a te!, aggiunge con sguardo riconoscente. E pensare che nel colloquio avuto con lei mesi addietro mi richiedeva un’interruzione di gravidanza! Esperienze di questo tipo sono all’ordine del giorno: devo ricordarmi di ringraziare Dio più spesso, per non prendermi il merito.