Professare la propria fede senza discriminazioni

La libertà religiosa, cartina di tornasole e midollo dei diritti umani fondamentali: lo sostiene il Rapporto ACS 2010, reso pubblico il 24 novembre scorso
libertà religiosa
 

Per circa 5 miliardi di persone, la libertà religiosa è negata, interdetta, limitata o repressa, in varie aree geografiche e in non pochi Paesi del pianeta. Il 70 per cento dei 6,8 miliardi della popolazione mondiale vive ed è sottoposta a pesanti limitazioni alla libertà di religione, di coscienza e di pensiero. Lo rivela il Pew Forum on Religion & Public Life di Washington, attraverso un’indagine su 198 paesi, titolata Restrizioni globali sulla religione.  

          

Secondo Amnesty International, da almeno due decenni il cristianesimo sarebbe la religione più perseguitata del mondo. Per altre ricerche internazionali, il 10 per cento degli oltre due miliardi di cristiani nel mondo è oggi oppresso, incarcerato, discriminato, costretto all’esilio. E la Commissione delle Conferenze Episcopali della Comunità Europea (COMECE), rivela che il 75 per cento delle morti collegate a crimini a sfondo religioso riguarda i cristiani.

 

Dalla Cina al Sudan, dall’Iraq e Iran alla Nigeria e all’Eritrea, dal Pakistan a Myanmar, Laos e Corea del Nord, da Cuba all’India, persecuzioni, limitazioni e rappresaglie istituzionali e sociali si susseguono, a ondate impressionanti, su uomini e donne, vecchi e bambini, luoghi di culto e di preghiera. E ciò senza guardare in faccia se siano cristiani o musulmani, buddisti, indù o “diversamente credenti”. E’ quanto evidenziato dal Rapporto 2010 su “La libertà religiosa nel mondo”, presentato a Roma il 24 novembre, realizzato dall’Opera internazionale cattolica di diritto pontificio “Aiuto alla Chiesa che Soffre”(ACS), per l’occasione rappresentata dal dottor Peter Sefton-Williams; e affiancato, fra gli altri, dall’ambasciatore Francesco Maria Greco del Ministero degli Esteri e dal sociologo-scrittore Renè Guitton.

 

La lettura attenta del Rapporto merita alcune annotazioni, emerse peraltro durante la Conferenza stampa. Innanzitutto, il lodevole tentativo di dare valenza religioso-culturale “universale” a questa ponderosa ricerca di 561 pagine, nell’intento di andare oltre l’ambito strettamente cristiano-cattolico di questo diritto negato. Il Rapporto – anche se a tratti in modo discontinuo e non omogeneo per tutti i 194 Paesi presi in considerazione – vorrebbe infatti non limitarsi a monitorare unicamente la situazione delle comunità cattoliche o soltanto cristiane, ma cimentarsi nel tentativo di dare voce all’insopprimibile anelito di ogni essere umano, a qualsiasi fede o religione appartenga, ad esercitare liberamente il diritto alla ricerca della verità, alla libertà religiosa, alla professione di una religione qualsivoglia, senza discriminazioni: lo ha sottolineato Padre Sante Babolin, presidente del Segretariato italiano ACS, ispirandosi anche a fonti e interventi della Chiesa cattolica.

 

In secondo luogo e sempre in questa linea, il Rapporto lascia intravvedere e mette a nudo una presenza allarmante e perversa: l’ombra violenta del potere politico e degli interessi economici che, attraverso strumenti istituzionali, giuridico-legislativi e imposizione di “religioni di Stato” dominanti, manovra, strumentalizza e orienta l’aspetto religioso-popolare dei cittadini per finalità tutt’altro che umanitarie e “falsamente” spirituali. E ciò ben prima e al di là di fuorvianti motivazioni “religiose”, indubitabilmente cavalcate da componenti “estremistiche”, ideologie fanatiche o presunte “supremazie culturali” di stampo occidentale. Le prime, interessate a far passare il cristianesimo come “cavallo di Troia” degli interessi occidentali; le seconde, per giustificare devastanti incursioni affaristico-militari, non di rado fatte passare come lotta al terrorismo. E a rimarcarlo con estremo equilibrio è stato Padre Giulio Albanese, missionario di lungo corso e testimone diretto di sistematiche violazioni di questa “libertà delle libertà” nel Sud del mondo. 

 

Per interrompere queste spirali di oppressione non c’è che «la via del dialogo», come traspariva dalla diretta testimonianza di mons. Joseph Coutts, vescovo di Faisalabad, in Pakistan, in piena sintonia con quanto ribadito dal pontefice in una lettera al Presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, il 9 novembre scorso: «Il dialogo interreligioso e interculturale rappresenta una via fondamentale per la pace. La pace è un dono di Dio da ricercare nella preghiera; ma è anche il risultato di sforzi degli uomini di buona volontà».

Ed in questa direzione, acquista un significativo rilievo il tema scelto dallo stesso Benedetto XVI per la giornata mondiale della pace 2011: «Libertà religiosa, via per la pace».

 

 
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