Il “caso” Bambino Gesù: profezia e politica
Cittanuova.it ha recentemente pubblicato un articolo di Carlo Cefaloni sulla vicenda dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, che ha declinato la donazione di 1,5 milioni di euro da parte della società statale Leonardo Spa in quanto produttore di armi.
L’indicazione sarebbe arrivata, secondo la ricostruzione di alcuni quotidiani, direttamente dalla Santa Sede e in particolare dalla Segreteria di Stato vaticana, e la donazione è stata dirottata all’Istituto Gaslini di Genova.
L’articolo riportato fa notare come sostanzialmente si passi dalle parole ai fatti, avendo il Papa più volte denunciato la pratica del commercio di armi e i relativi interessi economici come fattore scatenante di molte guerre.
L’analisi, sin qui, non fa una piega, ma se posso portare una opinione, sarebbe a mio parere errato prendere spunto da questo episodio per una criminalizzazione generalizzata del settore di produzione degli armamenti e in generale delle politiche nazionali e internazionali di difesa.
Se è certamente un auspicio e un impegno condiviso dei cattolici e di molti laici, me compreso, arrivare ad un mondo senza armi e dove la pace sia un valore universale, non credo che a tale situazione si arriverà annullando l’offerta di armamenti, ma lavorando invece sulla domanda.
La Chiesa ha tutto il diritto e forse anche il dovere di lanciare segnali profetici, ma non sempre questi segnali profetici sono immediatamente traducibili con un copia e incolla in azione politica, anzi è proprio compito della politica recepire questi segnali e tradurli in iniziative concrete utili per il mondo attuale e per l’Italia attuale.
Una Italia che, come la totalità delle nazioni del mondo, ha un esercito e una politica di difesa, fa parte della Nato non perché i suoi governanti attuali e precedenti siano pericolosi guerrafondai, ma perché nel mondo di oggi uno dei compiti degli Stati è garantire la sicurezza dei propri cittadini.
A questo si è aggiunto nel quadro della politica internazionale l’impegno per una pace che non sia la resa alla prepotenza altrui, e se la marcia del sale di Gandhi è un luminoso esempio di azione nonviolenta, questo è un modello che arriverà se mai dalla autodeterminazione dei popoli e non per una imposizione dall’alto.
Nella realtà della politica va registrato che quanto teorizzato ormai dagli anni sessanta da intellettuali e associazioni in merito alla difesa popolare nonviolenta non ha trovato molte applicazioni pratiche. Questo però non deve fermare la tensione di tutti a confrontarsi ogni giorno con la profezia di Isaia: «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra». (Is, 2:4)
In questo quadro, personalmente non mi sento di criminalizzare l’industria della difesa e le fabbriche di armi in quanto tali e soprattutto i lavoratori che le fanno andare avanti. Ritengo giusta la possibilità di esercitare una obiezione di coscienza, ma non di imporla come obbligo.
Rimango convinto che, come avvenuto per la tortura, la pena di morte ed altre nefandezze, un giorno anche la guerra di aggressione possa essere percepita da gran parte dell’umanità come un abominio da evitare. Ma, con pieno rispetto della Chiesa e delle sue libere insindacabili scelte, questo non è avvenuto chiudendo le botteghe che producevano cappi e ghigliottine.