Produrre per uscire dalla crisi
L’analisi dell’economista prende in esame l’uso dei fondi europei, le grandi opere pubbliche, le energie rinnovabili come risorse spendibili contro la disoccupazione
Giustamente preoccupati di rimettere a posto i conti pubblici, corriamo il rischio di sprofondare inesorabilmente nella depressione. Governo e forze politiche in questi giorni parlano molto di liberalizzazioni, perché è indubbio che il nostro sistema è frenato da troppi vincoli, che proteggono una minoranza di privilegiati. Senz’altro daranno i loro effetti nel tempo, ma non è da lì che può venire quella spinta immediata al corpaccione intorpidito della nostra economia di cui c’è estremo bisogno.
Urge creare le condizioni perché qualcuno si rimetta a spendere per produrre qualcosa di utile. Il problema è come. In assenza di soluzioni miracolose, merita prendere in esame con molta attenzione tutte le possibilità per dare una sterzata alla situazione.
La prima è attingere con maggiore rapidità ai fondi europei per la realizzazione di progetti di interesse pubblico, quelli che di solito spendevamo con enorme lentezza. Su questo punto il governo si sta muovendo, da un lato cercando di sveltire la parte italiana delle procedure burocratiche e, dall’altro cercando di ottenere dalla Commissione Europea un allentamento della percentuale di cofinanziamento locale dei progetti. Speriamo lo faccia in fretta e con effetti quantitativamente significativi.
Una seconda possibilità, delineata all’interno di in un’interessante piano anticrisi proposto dagli economisti Yanis Varufakis, greco, e Stuart Holland, inglese, è il potenziamento dell’attività di finanziamento svolta dalla Banca Europea per gli Investimenti, in modo da dar vita ad una sorta di Piano Marshall per l’Europa sostenendo massicciamente progetti di infrastrutture, di risparmio energetico, di tecnologie verdi, e così via.
Una terza possibilità è la mobilitazione di capitali privati per la realizzazione di opere di pubblico interesse, in particolare reti stradali e telematiche . L’idea è che la garanzia fornita dagli enti pubblici ai partner privati di poter poi vendere servizi a prezzi remunerativi può dare a questi ultimi un forte incentivo ad investire, che altrimenti non avrebbero.
Al di là della forma tecnica, la situazione di sottoccupazione dei fattori produttivi, oggi prevalente in gran parte, non solo dell’Europa, ma anche degli USA, costituisce paradossalmente un’opportunità per avviare quei grandi progetti di trasformazione del nostro attuale modo di produrre e consumare, del tutto insostenibile dal punto di vista ambientale, proprio perché esiste molta capacità produttiva inutilizzata. Certo, qualcuno qualcosa dovrà pagare.
Potranno essere i futuri consumatori di energia, a cui si potrà chiedere di farsi carico del maggior costo di produrla attraverso lo sfruttamento di energie rinnovabili (l’Italia lo ha già fatto in notevole misura, ma altri paesi come gli USA molto di meno, e anche per questo sono particolarmente vulnerabili alle minacce dell’Iran di bloccare lo sbocco del Golfo Persico). Ma ciò è poca cosa rispetto al pericolo di un ulteriore avvitamento dell’economia mondiale verso il basso.
Per ridare alle nostre società, e soprattutto ai giovani, una speranza su cui puntare occorrono grandi progetti, e un po’ di coraggio.