Produrre armi. Per chi? Per cosa?
A prescindere dal colore dei governi, nell’Italia dove pare che non si riesca a decidere e governare, la gestione del gruppo Finmeccanica, nuovo nome “Leonardo” dal 2017, rappresenta l’esempio di una scelta precisa e non negoziabile di concentrare la produzione e la ricerca nel settore militare. In questo senso si muove con estrema coerenza e risolutezza l’amministratore delegato Mauro Moretti in base al mandato ricevuto nel 2014 quando il governo Renzi ha nominato i vertici delle grandi società controllate ancora dallo Stato: Eni, Enel, Poste, Terna e, appunto, Finmeccanica che è una delle poche multinazionali italiane con sedi, oltre che in Italia, nel Regno Unito, Usa, Francia, Germania, Spagna, Polonia, Australia, India, Brasile, Canada e altro ancora per un totale complessivo, secondo il sito web ufficiale, di oltre 47 mila dipendenti escludendo l’indotto.
La grande società, con il 30 per cento del capitale sociale in mano al Ministero dell’Economia, rappresenta un notevole patrimonio di competente e tecnologie gestito secondo una linea di politica industriale che ha comportato recentemente la dismissione di asset all’avanguardia nel campo civile come Ansaldo Breda e Ansaldo Sts. Voci critiche si sono alzate nel territorio genovese, dove tali società hanno la sede principale della loro attività, all’interno dello stesso partito democratico con due deputati, Mario Tullio e Lorenzo Basso, secondo i quali la scelta messa in atto da Moretti «appare contraddittoria con l’indirizzo che tutti i governi occidentali stanno compiendo di investire maggiormente nei settori civili dell’energia e dei trasporti». Una semplice annotazione che permette di sollevare qualche dubbio fondato sul racconto abituale che associa la produzione di armi con lo sviluppo tecnologico e la crescita dell’occupazione. La vera questione in gioco riguarda il legame tra la storia di Finmeccanica e il declino industriale che interessa il nostro Paese. In questo quadro il recente annuncio vittorioso del governo e di Finmeccanica per la commessa, perfezionata ad aprile 2016, al Kuwait per l’acquisto di 28 caccia Eurofighter da un consorzio guidato dalla società italiana, non riguarda solo una questione etica ma la prospettiva di reale sviluppo, nel lungo termine, di una tale filiera produttiva.
Sono domande decisive ma inattuali e omesse nel dibattito politico che il Movimento dei Focolari in Italia sta cercando di porre a partire dall’iniziativa dei giovani in Parlamento nel marzo 2016. Cosa vuol dire oggi la fedeltà all’articolo 11 della Costituzione? Il “ripudio della guerra” richiede o meno una conversione della nostra economia? Esiste oggi qualcuno in Italia disposto a prendere sul serio questa sfida? L’incontro in programma martedì 6 dicembre presso l’Istituto di ricerche internazionali archivio disarmo a Roma cerca di articolare una risposta a partire da un dialogo aperto ed esigente tra economisti, storici, associazioni, sindacalisti e i pochi parlamentari, finora, disposti a mettersi in gioco.
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