Procida, Ischia e Capri, le isole sorelle
Non poteva non attirare un napoletano come me un titolo come Le isole sorelle. Storia del magico incontro fra l’uomo e la natura. Edito dalla napoletana Fioranna, questo volume di grande formato deliziosamente illustrato da Giorgia Brunori si propone infatti di far conoscere ai giovanissimi Procida, Ischia e Capri, le maggiori dell’arcipelago partenopeo. Ai già tanti miti ad esse collegati Michela e Carolina Malgieri, autrici del testo (quasi didascalie), hanno pensato di aggiungere questa favola moderna che mentre narra le avventure delle tre “figlie” del Golfo di Napoli celebra l’importanza dei legami affettivi e l’unione fra l’uomo e la natura, avvicinando i bambini al problema dell’ecologia e del rispetto dell’ambiente.
Nel fantasioso racconto «la più piccola delle tre Isole Sorelle, che si chiamava Procida, aveva una bellezza rara e naturale. La più grande invece, Ischia, era la più coraggiosa e intrepida. L’isola di Capri sempre allegra e accompagnata da una lucertolina azzurra». E ognuna con un cuore rappresentato da una pietra preziosa: l’ambra per Procida, lo smeraldo per Ischia, l’acqua marina per Capri.
Perché l’ambra? Già nel corso del II millennio a. C. tra l’isolotto di Vivara (che fa parte di Procida) e la Grecia micenea erano intensi i traffici marittimi connessi alla circolazione e allo scambio di armi, gioielli, profumi e spezie, ma anche di materie prime rare come l’ambra, appunto, proveniente dal Nord Europa.
A Ischia si addice invece il verde smeraldo non tanto a motivo della lussureggiante vegetazione che la riveste, quanto per la sua pietra tufacea di origine vulcanica, caratterizzata da una particolare colorazione verde dovuta – secondo gli studiosi – ad una colata piroclastica del monte Epomeo di oltre 55 mila anni fa, sprofondata nel mare e, dopo averne assorbiti i sali minerali, riemersa in seguito a movimenti tellurici tra i 28 mila e i 15 mila anni fa.
Va detto anche che insieme a Procida, anch’essa di origine vulcanica, Ischia fa parte del sistema dei Campi Flegrei. Non così la terza isola del racconto, Capri: situata di fronte al promontorio sorrentino che funge da spartiacque tra il Golfo di Napoli e il Golfo di Salerno, è geologicamente affine ad esso, cui era collegato 40-50 milioni di anni fa da una sottile striscia di terra che permise ai grandi mammiferi dell’epoca di arrivare sull’isola. I loro resti, rivenuti colà in epoca romana, furono interpretati come appartenuti ai mitici giganti, figli della Terra, che gli dei dell’Olimpo avevano dovuto sottomettere.
Capri fu dimora prediletta dall’imperatore Tiberio, che vi trascorse – salvo brevi e fugaci escursioni – gli ultimi trent’anni della sua vita, governando da lì, in pratica, l’Impero. Villa Jovis, la più sontuosa delle ville da lui fatte costruire, pur ridotta al puro scheletro, giganteggia ancora in cima al Monte Tiberio, circa 300 metri a strapiombo sul mare; immense cisterne, atte a captare l’acqua piovana così preziosa in mancanza di altre vene d’acqua, erano al cuore di quella costruzione da sogno, diffusa in quartieri di soggiorno e belvedere che assecondavano senza violentarla la natura, com’era arte dei romani.
Capri azzurra come la celebre Grotta dai riflessi azzurrini e come la rara lucertolina citata nel libro, che vive solitaria unicamente sui Faraglioni dell’isola. Elegante e vivace nella sua livrea color del mare e del cielo, la Podarcis sicula coerulea fu segnalata per la prima volta nel 1870 dal medico naturalista di origini abruzzesi ma caprese di adozione Ignazio Cerio. A cosa si deve questa particolare colorazione? Quando in epoche remote i Faraglioni si distaccarono dall’isola, le lucertole che colonizzavano i due più esterni indossarono, per il fenomeno del mimetismo, l’azzurro del cielo e del mare.
Ma questo e altro ancora i piccoli lettori delle Isole sorelle avranno tutto il tempo di apprenderlo in futuro, invogliati magari dal libro a scoprire di persona le meraviglie che esse riservano.