Processo Regeni bloccato, quali sviluppi?
La sentenza, nei giorni scorsi, della Cassazione italiana sul processo per il rapimento, la tortura e l’uccisione di Giulio Regeni, nel 2016 in Egitto, era prevedibile: in mancanza di notifica agli imputati del loro rinvio a giudizio non si può procedere. E il processo viene sospeso fino a quando non sarà possibile la notifica.
È un principio base del diritto: non si può processare una persona che non sia stata ufficialmente informata dell’imputazione. Che i 4 ufficiali della security egiziana ritenuti responsabili non sappiano nulla è impossibile, data la notorietà del caso. E i loro nomi, gradi e perfino i dati identificativi e le foto sono noti. Si tratta di un generale, due colonnelli e un maggiore della National Security egiziana. Ma la risposta nel merito da parte della magistratura egiziana è stata e continua ad essere quella del memorandum del 26 dicembre 2020: “il quadro probatorio avanzato dalle autorità italiane è poco solido e contrario ai meccanismi della cooperazione giudiziaria internazionale, il che spinge la Procura generale a ritenere che le autorità italiane si siano sviate dalla verità, ed esclude tutti i sospetti nei confronti degli indagati”.
Quindi il procedimento, per quanto riguarda la magistratura egiziana, è archiviato da quasi 2 anni e per legge non si può riaprire. Fine del discorso.
A livello generale e politico, anche se non specifico per il caso Regeni, c’è l’emblematica affermazione fornita a Budapest il 12 ottobre 2021 dal presidente egiziano al Sisi: in sostanza ha dichiarato che l’Egitto non si piega ad alcun diktat europeo circa il rispetto dei diritti umani. E nel settembre precedente, sempre al Sisi, aveva affermato che voler imporre all’Egitto una visione occidentale dei diritti fondamentali è un approccio dittatoriale. Potrà non piacere, ma è un discorso molto chiaro e, per altri versi (per quanto non direttamente relativi al processo Regeni), perfino non del tutto opportunista.
Difficile poi invocare sanzioni contro l’Egitto, partner commerciale verso cui l’Italia ha esportato nel 2021 merci per 3,8 mld di euro, comprese armi e tecnonogia militare e di controllo della sicurezza (oltre alle 2 ormai famose fregate vendute nel 2020 per 9 mld di euro alla marina egiziana), e importato prodotti per 2 mld di euro. Senza contare inoltre la partnership di lunga data di Eni con la compagnia statale Egyptian Natural Gas per la produzione di gas dai giacimenti del Mediterraneo orientale e l’estrazione di greggio, recentemente scoperto nel deserto occidentale egiziano. Un accordo di aprile 2022 punta inoltre a fornire all’Ue 3 mld di metri cubi di gas liquefatto egiziano, di cui circa un terzo all’Italia, tramite navi metaniere.
Un atteggiamento sanzionatorio da parte dell’Italia si ritorcerebbe pesantemente contro l’economia e il lavoro italiani. E di questi tempi è arduo sostenere tesi del genere quando si parla di gas e petrolio, tanto più che la maggior parte dei Paesi mediterranei o mediorientali con riserve di idrocarburi sono governati in modo autocratico e non brillano certo per la tutela dei diritti umani, almeno come li intendiamo in Occidente.
Ciò che l’Italia può fare, come Stato e come organizzazioni civili, è continuare ad affermare i diritti umani e i principi della legalità e della giustizia attraverso le istituzioni, il sostegno alle associazioni internazionali per i diritti e la pressione sull’opinione pubblica tramite media e social. È in questo modo che è stato possibile in questi anni sostenere l’impegno di alcune ong e associazioni umanitarie egiziane, e non, che si battono con coraggio per i diritti umani e la giustizia, spesso correndo gravi rischi e subendo le ritorsioni dell’apparato repressivo delle security.
Due esempi significativi, in questo senso, sono le associazioni che si sono fatte carico dell’assistenza legale sia nella causa di Giulio Regeni che nella difesa di Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna, perseguitato da oltre 2 anni nel suo Paese e tuttora in libertà vigilata.
Per il caso Regeni si è battuta fin dal 2016 l’Ecrf (Egyptian Commission for Rights and Freedoms), un’organizzazione pluripremiata a livello internazionale e diretta da Mohamed Lotfy, un egiziano fornito anche di cittadinanza svizzera. Patrick Zaki è stato difeso in tribunale dall’avvocata Hoda Nasrallah dell’Eipr (Egyptian Initiative for Personal Rights), una coraggiosa ong, con la quale Zaki aveva collaborato in passato, che svolge attività di advocacy ed è anche un autorevole think tank.
Senza l’impegno internazionale e la notorietà, anche queste realtà, espressione della società civile, sarebbero probabilmente scomparse come tantissime altre.
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