Problemi presidenziali a Manila

La Camera dei Rappresentanti di Manila con 215 voti su 306 ha deciso l’impeachment nei confronti della vicepresidente Sara Duterte. Per essere effettiva la decisione va ora confermata o meno dal Senato. Il provvedimento, al di là delle motivazioni, si inserisce nello scontro fra le due lobbies rivali dei Marcos e dei Duterte
Manifestanti chiedono l'impeachment della vicepresidente Sara Duterte davanti alla Camera dei rappresentanti del Congresso (HOR) a Quezon City, Manila, Filippine, 5 febbraio 2025. L'HOR il 5 febbraio ha messo sotto accusa Duterte attraverso una denuncia presentata da 215 legislatori, che ha portato all'ordine di trasmettere articoli di impeachment al Senato filippino. Duterte è stata accusata di corruzione e cattiva gestione dei fondi pubblici a causa del suo incarico di vicepresidente e del suo precedente mandato di segretaria dell’Istruzione. Ansa EPA/ROLEX DELA PENA

La vita politica delle Filippine si è movimentata non poco negli ultimi giorni a causa dell’impeachment votato dalla Camera dei Rappresentanti nei confronti della vicepresidente Sara Duterte. Le accuse sono gravi: complotto per un tentativo di assassinio del presidente, corruzione su larga scala e mancata denuncia della Cina per attacchi a postazioni militari filippine nel Mar Cinese Meridionale, da lungo tempo al centro di un contenzioso fra il gigante asiatico e l’arcipelago filippino.

La vicepresidente filippina Sara Duterte. Ansa EPA/ROLEX DELA PENA

Sara Duterte è figlia d’arte. Suo padre, Rodrigo Duterte, è stato presidente della Repubblica della nazione-arcipelago del sud-est asiatico dal 2016 al 2022. Ma figlio d’arte – e forse ancora di più – è l’attuale presidente filippino, Ferdinand Marcos Jr, figlio dell’omonimo dittatore che governò per oltre due decenni il Paese e che venne esautorato con la famosa e storica rivoluzione pacifica, animata e ispirata anche e soprattutto dalla Chiesa cattolica. Fu quasi un confronto fra il potente dittatore Marcos e l’altrettanto autoritaria moglie Imelda, da una parte, e il cardinale Sin, dall’altra.

La recente mossa di impeachment approvata dalla Camera, che deve ora essere convalidata anche dal Senato di Manila, apre il sipario sulla inquietante rivalità fra due delle famiglie più potenti della Repubblica filippina: i Marcos che hanno il loro centro di potere al nord dell’arcipelago, e i Duterte che, invece, imperano da decenni a Davao, nel sud. La frattura tra queste due famiglie, parte dell’oligarchia che in effetti da sempre determina la vita della nazione, si è ora trasformata in una vera e propria spaccatura, quasi una guerra interna allo Stato.

Le scelte politiche dei due presidenti, infatti, sono ben lontane e quasi contraddittorie. Rodrigo Duterte, nel corso del suo burrascoso mandato, contrassegnato da una diffusa violenza interna scatenata dallo stesso presidente per eliminare i traffici di droga e di malavita, aveva coltivato relazioni privilegiate con Cina e Russia. Ferdinand Marcos Jr, invece, ha da subito scelto di tornare al tradizionale alleato dei filippini: gli Stati Uniti. La vicepresidente, pressoché esautorata, non ha commentato immediatamente la scelta del Parlamento nei suoi confronti. Ma lo ha fatto il fratello Paolo, che ha affermato trattarsi di «un chiaro atto di persecuzione politica». I legislatori rivali hanno manovrato per raccogliere rapidamente le firme e sostenere al Senato che si tratta di un «caso di impeachment senza fondamento». Che la faida, come spesso accade nelle Filippine, sia fra due clan familiari lo conferma anche il fatto che la vicepresidente ha ripetutamente accusato Marcos, sua moglie e suo cugino, il presidente della Camera Martin Romualdez, di corruzione, debolezza di leadership e tentativi di zittire i media a causa delle speculazioni su una possibile candidatura della Duterte alla presidenza nel 2028, dopo la scadenza del mandato di 6 anni di Marcos Jr.

Dunque, una vera guerra fra due famiglie che controllano buona parte del Paese e che, in occasione delle elezioni del 2022, avevano dato l’impressione di aver costituito un sodalizio potente e incrollabile fra gruppi familiari che, trovato un insperato accordo su presidenza e vicepresidenza, apparivano inscalfibili. Infatti, durante l’ultima campagna elettorale, la Duterte si era candidata a fianco di Marcos Jr inneggiando all’unità in un Paese che da anni era già fortemente polarizzato, proprio a causa della campagna elettorale precedente guidata senza esclusione di colpi e di violenza dal padre, Rodrigo Duterte. Pur essendo figli di personalità controverse, entrambi uomini forti accusati di violazioni dei diritti umani, le rispettive lobby regionali – rispettivamente al sud e al nord dell’arcipelago – hanno permesso loro di arrivare a controllare il governo, come presidente e vicepresidente.

Nonostante la chiara divisione territoriale e politica delle due fazioni, hanno votato a favore dell’impeachment anche diversi rappresentanti di Mindanao, l’area al sud dell’arcipelago da cui la famiglia Duterte ha storicamente tratto il suo sostegno.

La questione, tuttavia, non è ancora conclusa. Infatti, ora la patata bollente – prendere la decisione finale riguardo al futuro della vicepresidente – passa al Senato, composto da 23 membri che fungeranno da giurati. Per una condanna sarà necessario il voto favorevole di due terzi dei senatori, una soglia difficile da raggiungere, considerando che la maggioranza dell’assemblea risulta meno ostile alla vicepresidente.

Non è, comunque, la prima volta che nelle Filippine si registra un caso del genere. Se riconosciuta colpevole, Sara Duterte sarebbe il quarto esponente politico di alto livello a subire una condanna dopo l’ex presidente Joseph Estrada nel 2000, un ex presidente della Corte Suprema e un difensore civico. In tutti i modi, la sentenza rappresenterebbe un duro colpo per la 46enne vicepresidente anche in relazione ai rapporti con il presidente Ferdinand Marcos Jr. Si tratta di tensioni non solo personali, ma, come accennato, legate a uno scontro in atto tra due dinastie con metodi simili nella gestione del potere e con roccaforti elettorali opposte. Dietro lo scontro emergono anche le ambizioni politiche di Rodrigo Duterte, che, impossibilitato a ricandidarsi alla presidenza, cerca nuove strategie per mantenere il suo ruolo politico. Le elezioni del 2028 saranno un banco di prova cruciale: il clan Duterte punterà dunque a blindare la propria posizione nelle urne, nonostante la crescente opposizione politica. Resta da vedere se i Marcos accetteranno e cederanno a tale ambizione.

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