Il “problema anglofono” in Camerun
Il «problema angolofono» o «crisi anglofona» in Camerun, secondo alcuni, ha conosciuto un (felice) miglioramento. Il presidente della Repubblica ha infatti creato una commissione nazionale per la promozione del bilinguismo e del multiculturalismo così da rispondere alle attese dei «contestatori». Ma naturalmente ciò è stato accolto in maniera diversificata all’interno del Paese, dato che non basta certo proimuovere il bilinguismo per risolvere tutti i problemi – per quanto ciò sia già un notevole passo avanti.
Il governo sembra dunque aver fatto delle concessioni, andando incontro alle richieste principali della popolazione anglofona; ma soprattutto risolvendo (a metà?) i problemi degli insegnanti e degli avvocati. Per questi ultimi sarà infatti creata nei prossimi mesi l’Ohada business school, un istituto che formerà gratuitamente avvocati e magistrati sulle diverse procedure giuridiche e sugli atti uniformati dell’Ohada (sistema di diritto commerciale adottato da 17 Paesi africani, ndt). Secondo la professoressa Justine Diffo «i magistrati anglofoni hanno gradito».
A Bamenda come a Buea, a partire dalla settimana scorsa, gli studenti sono finalmente rientrati in classe. Alcuni timidamente: non bisogna infatti dimenticare che all’inizio di gennaio, al rientro a scuola, sono stati pesantemente molestati all’interno dei loro istituti da gruppi di giovani che volevano che venisse rispettato lo sciopero generale. Uno sciopero imposto da gruppuscoli che si muovono nell’ombra, mentre i mercati e altre attività commerciali sono rimaste aperte con sollievo della popolazione. Tuttavia, ricordiamo che ad oggi la parola d’ordine dello sciopero non è ancora stata ritirata dalle regioni in crisi.
L’origine del problema
Le diverse città delle regioni anglofone escono prostrate da due mesi di crisi sociopolitica senza precedenti, una delle prove più dure dai tempi dell’avvento del multipartitismo in Camerun nel 1990. La situazione, già tesa dal mese di novembre 2016, è degenerata tra diucembre e gennaio.
Gli avvocati di lingua inglese hanno deciso a ottobre 2016 di disertare i tribunali. Chiedevano la traduzione in inglese degli atti uniformati dell’Organizzazione per l’armonizzazione in Africa del diritto commerciale (Ohada). Protestavano inoltre contro l’utilizzo del francese nei tribunali e la scarsa conoscenza delle procedure anglosassoni da parte dei colleghi francofoni. Sono stati presto seguiti dagli insegnanti del sotto-sistema di istruzione anglofono, che lamentavano una sorta di «fagocitosi» del loro insegnamento da parte dei francofoni: ci sono a loro avviso troppi professori di lingua francese, che occupano peraltro posti di maggiore responsabilità. Gli insegnanti hanno dunque chiesto agli studenti di non entrare in classe finché le loro rivendicazioni non fossero state prese in considerazione.
Gli avvocati hanno quindi deciso di indire una marcia pacifica, ma sono stati violentemente contrastati dalla polizia e altre forze di sicurezza. Lo stesso è accaduto agli studenti dell’università di Buéa, la principale città della regione di sudovest, che protestavano contro il pagamento ingustificato e inammissibile di una somma di denaro all’interno del loro istituto. La violenta repressione che ne è seguita ha scosso tutto il Paese ed è arrivata anche oltre. Torture e altri abusi subiti dagli studenti hanno indignato molte persone sui social network, e ci sono stati anche numerosi arresti. A questo punto c’erano tutti gli ingredienti per un mix esplosivo.
Rivendicazioni a cascata
Quello che era cominciato come un semplice movimento di protesta si è presto trasformato in guerriglia urbana il 21 e 22 novembre 2016, con una violenza senza precenti sia da parte dei manifestanti che delle forze dell’ordine a Bamenda (Nordovest).
Come una miccia, la violenza ha fatto scoppiare tutte le città anglofone. Il conflitto, già latente e ben presente, è divampato. I poliziotti hanno sparato proiettili veri contro la popolazione a Bamenda, in una repressione barbara come mai si era vista prima. Le scene di violenza inaudita, lungi dal dissuadere i «sabotatori», li hanno invece galvanizzati, rafforzati e uniti.
I manifestanti chiedevano il federalismo, altri ancora la secessione pura e semplice di due Paesi, altri semplicemente la «decentralizzazione».
I camerunensi di lingua inglese si sentono « marginalizzati». Lamentano di dover utilizzare il francese ovunque, anche nella loro regione, contestano l’«arroganza» dei francofoni, e soprattutto l’esclusione dal potere e dalle posizioni di responsabilità nel Paese. Terminati gli studi non possono lavorare, perché il sistema francofono non li integra facilmente.
All’apice della contestazione, lo scorso dicembre, i vescovi della provincia ecclesiastica di Bamenda hanno indirizzato al capo di Stato Paul Biya un documento in cui esponevano in maniera semplice e chiara la situazione delle regioni del Nordest e del Nordovest. Ricordavano l’unione storica tra il Camerun occidentale (anglofono) e quello orientale (francofono); e secondo alcune fonti avrebbero anche preso posizione a favore del federalismo.
I sindacati e la teoria del complotto
Negoziazione dopo negoziazione con i rappresentanti degli avvocati, degli insegnanti e altri gruppi, le autorità hanno ceduto su diversi punti. Ma resesi conto della doppiezza dei loro interlocutori (lo sciopero indetto dagli insegnanti non è stato ritirato), a Yaoundé hanno deciso di interrompere le negoziazioni e proibire tout court le attività dei gruppi secessionisti (Southern Cameroon National Council e Cameroon Anglophone Civil Society Consortium) che non avevano alcun riconoscimento legale, ma parlavano a nome degli anglofoni.
Ricordiamo che i sindacati degli insegnanti avevano presentato 11 rivendicazioni al governo. Il primo ministro ha costituito un comitato interministeriale ad hoc l’8 novembre che ha permesso il reclutamento di mille insegnanti bilingui, una prossima integrazione di insegnanti a contratto per la scuola primaria e secondaria, e la liberazione delle persone che hanno partecipato alla distruzione di beni pubblici e privati. Nulla è stato fatto a favore dei «contestatori», in quanto si è passati dalle rivendicazioni «corporativiste» (avvocati e insegnanti) a quelle che toccano la forma dello Stato e del governo: un upunto su cui il Camerun non vuole negoziare. «Il Camerun è indivisibile», ha ribadito Paul Biya durante il suo traduizionale messaggio televisivo di fine anno.
Complotto straniero
Per il governo in carica non c’è alcun dubbio: c’è una mano straniera che guida i movimenti di protesta. A Bamenda, secondo fonti ben informate, era evidente che gruppi di giovani ben organizzati avevano approfittato dello sciopero degli insegnanti per scendere in strada e fare atti di vandalismo contro i beni pubblici ; e si è notata la presenza di giovani pronti ad usare le maniere forti contro tutti coloro che osavano sfidare l’ordine di sciopero e di «città morte» (una situazione in cui nessuno esce di casa).
Ma oggi gli scioperi non hanno più seguito. La polizia ha dato la caccia ai giovani vandali, e molti sono stati arrestati nel giro di una decina di giorni sia a Buea che a Bamenda. La situazione nell’insieme sta migliorando.
La decentralizzazione è il vero nodo della questione in Camerun. Tutto dipende dalla capitale Yaoundé: le firme, i documenti importanti come i diplomi e le lauree. Il Paese, per quanto immensamente ricco (il suolo, le montagne, la foresta, i suoi talenti…), ha un enorme problema in termini di gestione dei beni pubblici. La cattiva gestione non riguarda solo le popolazioni delle regioni anglofone. Il tribalismo e la corruzione permeano la società al punto tale che trovare lavoro dipende da diversi parametri: la fortuna, l’origine regionale o tribale… Ma ormai qualcosa si sta muovendo. Le autorità, bene o male, hanno preso coscienza che le frustrazioni quotidiane possono degenerare.
(traduzione di Chiara Andreola)