Pro-fumo di santità
Per papa Sarto, Pio X – quello del vecchio catechismo -, era quasi fatta. La sua causa di beatificazione era ormai arrivata alle ultime battute e l’opinione pubblica attendeva da una settimana all’altra l’annuncio di un nuovo santo. A mettere i bastoni fra le ruote venne però un problema; non so se per eccesso di zelo, o se per partito preso, qualcuno buttò lì la bomba: Possiamo dichiarare santo uno che, sia pure papa, fumava il toscano?. E in effetti la cosa era lì, fra le carte, documentata. Non un fumo episodico,ma metodico e abituale. Perché papa Sarto, in effetti, negli ultimi anni somigliava sempre di più ai vecchi delle sue parti, quelli che in Veneto uscivano, la sera tardi, dall’osteria, si avvolgevano nel tabarro, e montavano sulla vecchia bicicletta nera avendo come unico fanale, appunto, il toscano acceso. La questione, per la verità, era stata posta al papa direttamente, quand’era ancora in vita. Un algido cardinale, con tono fra il rimprovero e lo scandalizzato, gli aveva detto una volta: Ma, santità, un papa non dovrebbe fumare…. Fulminea la risposta del papa che, per l’occasione, aveva idealmente indossato il tabarro: Eminenza, se fosse un vizio, lo avrebbe anche lei. Alla fine, papa Sarto, che santo era, santo fu riconosciuto. La discussione arrivò infatti alla conclusione che, se il papa fumava, era per amore del prossimo, per darsi un aiuto a meglio compiere la propria missione. Paradossalmente – ma qui molti algidi cardinali mi daranno torto – fu fatto santo non nonostante il fumo, ma anche grazie al fumo. Papa Sarto patrono dei fumatori? Sì, la proposta è questa. E già sento le obiezioni: Un patrono si assegna a coloro che sono impegnati in una via ascetica, che cercano la santità; al contrario, i fumatori, per il fatto stesso di esserlo, vivono nel peccato o, quanto meno, nell’imperfezione. Ma è proprio questo il punto. Noi fumatori non abbiamo attenuanti, ragioni, difese. Mentre altri possono nascondere i loro limiti e difetti, il nostro è pubblicamente esibito e ci ricorda tutti gli altri, nascosti, che abbiamo. Il fumo insegna l’umiltà. Tempo fa, all’aeroporto londinese di Heatrow, stavo fumando nell’apposito spazio recintato; guardavo i miei compagni di sventura: gente che arrivava di corsa, dopo voli transoceanici, e si accendeva la sigaretta con movimenti convulsi; e alla prima boccata si distendeva sulla poltrona, con gli occhi rovesciati indietro, in un chiaro atteggiamento di umile gratitudine. Nel frattempo, i passeggeri in transito scorrevano al nostro fianco lungo il tapis roulant, guardandoci qualcuno con degnazione, altri con palese disgusto; un bambino, particolarmente affascinato dalle evoluzioni del fumo della mia pipa mi rimirava entusiasta: e la mamma, subito, a girargli il capo, a distoglierlo dall’infame spettacolo; uno che fuma, è capace di tutto. Eravamo tutti umiliati: non è ascetica, questa? E non è ascetica quella del turista in bermuda, proveniente dalle Hawaii, che approfitta del transito per New York per uscire all’aperto, nella neve, per quattro boccate di sigaro? E poi viene redarguito per il ritardo, mentre si precipita, semicongelato, verso la sua uscita di imbarco? A Malpensa, fino ad un anno fa, c’era una toilette frequentatissima; le altre attendevano vuote, mentre davanti a quella c’era sempre la fila. Il fatto è che quella toilette aveva il soffitto bucato, e il fumo poteva uscire da lì senza invadere gli ambienti. Evito di descrivere l’attesa alla toilette, che si poteva prolungare per delle mezz’ore: non è ascetica questa? Esiste ormai una rete segreta di fumatori, che si passano informazioni vitali su uscite secondarie, angoli nascosti, complici fra le forze dell’ordine; persone che vivono nell’angoscia e nel nascondimento: non è ascetica, questa? Tanti, fra noi fumatori, sono vittime del progresso. Quando cominciai a fumare, da piccolo, mia madre disse a mio padre: Non vedi cosa fa tuo figlio?; Non preoccuparti – rispose lui, persona rara perché inflessibile con sé stesso e tollerante con gli altri -; ho letto un articolo su una rivista americana: bisogna lasciarli fumare, i figli, perché poi, presi dal disgusto, smettono da soli, senza interventi repressivi. Non funzionò. E il fatto scalfì la fiducia nel progresso da parte di mio padre, ma irrobustì la mia in lui. A un pranzo di parenti ed amici, durante le feste, ad un certo punto ci siamo ritrovati tutti fuori, nel gelo, a fumare, tranne due o tre che, rimasti dentro da soli, uscirono anch’essi per non sentirsi isolati: non è ascetica, questa? Quest’estate ho smesso di fumare, per quindici giorni; dopodiché una delegazione di membri della mia famiglia mi ha chiesto udienza implorandomi, per favore, che ricominciassi: non riuscivano più a sopportare le mie crisi di astinenza. Come si vede, pur nel dolore la famiglia trionfa: non è ascetica questa? Il ministro Sirchia ha sicuramente agito a fin di bene. Probabilmente la sua azione anti-fumo contribuirà a guadagnargli il Paradiso. E si troverà insieme a papa Sarto, giunto nello stesso posto per altra più impervia e fumosa via. Le vie del Signore, dunque, sono davvero infinite. Quella presa dai fumatori è, forse, solo un po’ più corta.