Il primo Bulgakov, medico allo sbaraglio

I racconti giovanili dell’autore de “Il Maestro e Margherita”, anticipo delle opere maggiori
Bulgakov

Strano destino quello di Michail Afanas’evič Bulgakov. Medico passato alla narrativa e al teatro, quando già il successo dei primi lavori sembrava schiudergli un avvenire lusinghiero cadde in disgrazia nella Russia sovietica e si vide stroncate le opere successive o costrette a rimaneggiarle. Non ottenne un visto per l’estero per sé e la seconda moglie, e neppure, in alternativa, un impiego qualunque in teatro: dovette intervenire Stalin perché la sua richiesta venisse accolta. Fu la morte civile: Bulgakov rimase in Russia, non si suicidò come Majakovskij, non fu mandato in un campo di lavoro in Siberia, ma dovette accettare di essere ridotto al silenzio. Il suo capolavoro satirico, Il Maestro e Margherita, che lo ha collocato tra i grandi della letteratura europea del ‘900, sarebbe stato pubblicato solo dopo la sua morte, nel 1967.

Bulgakov era nato nel 1891 a Kiev, in Ucraina, da famiglia borghese benestante. Studente con onore alla facoltà di Medicina, nel 1914, allo scoppio della Prima guerra mondiale fece le sue prime esperienze sul campo come volontario presso l’ospedale di Saratov, dove accoglieva i feriti giunti dal fronte. L’urgenza di personale sanitario fece sì che si laureasse in anticipo nel 1916, quando i medici con più esperienza venivano mandati al fronte e sostituiti dai neolaureati nei piccoli ospedali di provincia.

Nel settembre di quell’anno l’inesperto Bulgakov, accompagnato dalla prima moglie Tat’jana, venne mandato allo sbaraglio a Nikol’skoe, ritrovandosi a dirigere l’ospedaletto di quello sperduto villaggio. Dopo un anno in cui era avvenuto di tutto (coi moti rivoluzionari che avevano rovesciato il potere degli zar) e lui specializzato in pediatria aveva eseguito di tutto (amputazioni, parti podalici, tracheotomie, lotta contro la sifilide), Bulgakov venne trasferito all’ospedale di Vjaz’ma, assegnato al reparto di malattie infettive e veneree. Ottenuto nel 1918 l’esonero dagli obblighi militari, fece ritorno a Kiev, dove per mantenere la famiglia svolse privatamente l’attività medica. Intanto, per curare una reazione allergica provocata da un vaccino antidifterico quando era ancora a Nikol’skoe, aveva contratto la dipendenza dalla morfina: un periodo buio, causa di eccessi nei riguardi della moglie, che comunque riuscì lentamente a disintossicarlo.

Le esperienze del periodo 1916-1918 si ritrovano quasi tutte, in parte alterate, nei racconti pubblicati tra il 1925 e il 1926 sulla rivista medica Medicinskij rabtnik e ora riproposti da Neri Pozza col titolo Memorie di un giovane medico, con l’aggiunta di altri tre brani: Gola d’acciaio, Morfina (il drammatico documento della sua dipendenza) e Io ho ucciso.

Va precisato che l’intenzione dello scrittore di raccogliere in volume quei racconti sparsi si era concretizzata solo nel 1963, 23 anni dopo la sua morte a Mosca, grazie alla terza moglie Elena Silovskaia. Quale ordine Bulgakov avrebbe voluto dare ad essi non ci è dato sapere. I criteri adottati nella presente edizione seguono pertanto quelli della maggioranza dei curatori: scartata l’idea di seguire l’ordine di pubblicazione nella rivista, l’unità narrativa è raggiunta ricostruendo il filo cronologico degli eventi, ciò che ha permesso il collegamento con Morfina e Io ho ucciso.

Indimenticabili gli episodi in cui il l’alter ego dell’autore, fresco di studi, si trova a dover affrontare in mezzo a contadini rozzi e ignoranti parti anomali e malattie conosciute solo dai manuali, col terrore di chi è consapevole che tutto dipende da lui e – sotto gli occhi del suo staff  – deve darsi un contegno di sicurezza che non c’è. Il dramma è quando il paziente non ce la fa, ma il più delle volte, proprio nel momento più critico, subentra la “grazia” di prendere con lucidità la decisione giusta, quella che salverà una vita umana. Poi il ritorno dello stremato medico nella cameretta dove, unico conforto alla sua solitudine, l’accoglie il caldo cerchio di luce del paralume.

Sono pagine piene di vita, potenti, nelle quali fa già capolino il Bulgakov delle opere maggiori, da La guardia bianca a Uova fatali e Cuore di cane, dove ritroviamo protagonisti ancora dei medici. Scrive nella postfazione Serena Prina, che ha curato e tradotto i 9 racconti delle Memorie: «Il 1917 e il 1918 sono dunque anni di malattia, per Bulgakov, senza che ciò implichi l’essere pro o contro la Rivoluzione d’ottobre: il punto della questione era come far sopravvivere allo sconvolgimento del presente il cuore vivo, pulsante, dell’essere umano».

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