Primi segni di crisi fra Modi e le minoranze religiose
Da quanto Narendra Modi è stato eletto con un successo elettorale che ha segnato la più pesante delle sconfitte subite dal partito del Congresso nella storia dell’India, le minoranze religiose hanno sempre nutrito timori e sospetti sulla vera agenda politica di Modi e del suo partito, il BJP. L’ideale dell’Hindutva, l’India agli indù, resta il centro dell’ideologia dell’attuale partito guida della più grande democrazia del mondo.
Modi, tuttavia, ha mostrato grande acume ed equilibrio politico nei primi mesi del suo mandato: ad una chiara priorità per acquisire credibilità all’estero ha saputo coniugare attenzione estrema a trattare argomenti delicati a livello di politica interna. In effetti, dalla sua nomina a Primo Ministro non ha mai dato adito a scelte discriminanti anche se i timori fra musulmani e cristiani permangono e non di rado commenti o nuovi disegni di legge sembrano offrire il fianco a scelte dannose per coloro che non sono indù.
Il problema di Modi, tuttavia, è legato anche al suo entourage e ai ministri del suo gabinetto. Nei giorni scorsi Sadhvi Niranjan Jyoti, ministro per l’industria alimentare, in uno dei suoi discorsi pubblici, ha fatto riferimento alle minoranze religiose come a ‘figli illegittimi’. La reazione è stata immediata ed il ministro (o la ministra) è stata immediatamente tacciata di communalism (termine che nell’inglese indiano sta a significare discriminazione religiosa), di voler provocare sentimenti anti-minoranze, oltre al tono senz’altro offensivo. La Jyoti ha dovuto presentare le sue scuse e ritrattare la dichiarazione, anche se, da molte parti il tono è stato considerato troppo leggero e non sufficientemente chiaro. Il Primo Ministro ha colto l’occasione per chiedere ai membri del suo partito (il BJP) che siedono in parlamento e che fanno parte del governo, di usare toni più adeguati alla loro posizioni e di non trascendere su questioni che possono essere motivo di tensioni interne. Tuttavia le scuse non hanno eliminato l’imbarazzo in cui Modi stesso e tutto il suo partito si sono trovati a convivere. E’ vero che alcuni ministri con maggiore esperienza politica si sono affrettati a prendere le distanze dalle affermazioni della Jyoti, ma è altrettanto vero che il danno era fatto. Soprattutto, nota un interessante articolo di fondo del quotidiano The Hindu, il contesto del discorso dimostra che il commento della ministra, nominata nell’esecutivo in un recente allargamento del governo, era tutt’altro che uno scivolone casuale. Lo dimostra anche il fatto che le scuse sono state richieste a conferma che la Jyoti era tutt’altro che cosciente della situazione imbarazzante in cui ha messo il suo governo e, soprattutto, il Primo Ministro indiano.
In questo contesto le conseguenze hanno raggiunto anche Modi, ritenuto dall’opposizione e dalle minoranze offese troppo ‘soft’ nel riprendere una sua stretta collaboratrice. Molti ritengono che l’esclusione di Jyoti dall’esecutivo poteva essere una decisione adeguata su cui riflettere. Modi ha affermato pubblicamente che, ottenute le scuse e ritrattata la dichiarazione, è necessario ora andare avanti per il bene del Paese. Tuttavia, osservatori politici locali sostengono che, in assenza di una chiara e netta presa di posizione da parte del Primo Ministro, l’organo centrale del BJP (a cui si stava rivolgendo la Jyoti quando ha espresso la frase contestate) potrebbe sentirsi incoraggiato e con le spalle coperte a ingaggiare una chiara politica a favore dell’Hindutva. Il partito del Congresso, quelli della sinistra e il Trinamool, si sono trovati d’accordo (e non è così facile nella complessa situazione politica indiana) sull’esprimere timore che affermazioni come quelle della ministra creino problemi sociali all’interno dell’immenso Paese. Si riterrebbe opportuno che Modi estrometta Niranjan Jyoti dal suo governo.