Primi segnali del Conte Due

Dopo il giuramento, si attende la fiducia delle due Camere per un governo dal quale arrivano gesti di discontinuità, in attesa delle prime sfide in tema di bilancio e riforma elettorale

Il nuovo governo, che giovedì 5 settembre ha prestato giuramento di fedeltà alla Costituzione davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, chiederà la fiducia alla Camera (dove i numeri sono sicuri) il 9 settembre e il giorno seguente in Senato. A palazzo Madama la situazione si annuncia decisamente più incerta per il dissenso di alcuni pentastellati e non solo.

Riforma elettorale
Fuori dalle due Camere si svolgerà una manifestazione di protesta indetta da Fratelli d’Italia con il sostegno della Lega. Una mossa sempre ardita nel tempo dei social, dove è difficile tramutare migliaia di consensi espressi con un click in una partecipazione fisica in piazza. Di sicuro i media hanno già iniziato a dedicare un profilo basso alle esternazioni di Salvini. Un mutamento che ricorda il brusco ridimensionamento del presenzialismo di Renzi dopo le sue dimissioni originate dalla sconfitta nel referendum costituzionale del 2016.

A prescindere dall’urgenza della manovra economica, è ancora la definizione del sistema di rappresentanza a costituire un primo scoglio del nuovo governo. Con la riduzione annunciata di 315 parlamentari, manca solo l’approvazione in quarta lettura, si apre il problema della ridefinizione della legge elettorale, che ormai sembra tornare al tanto vituperato sistema proporzionale. La legge Rosato produce delle storture che vanno corrette. Si poteva agire per ridurre di 50 milioni di euro l’anno le spese del Parlamento senza ridurre il numero degli eletti, ma l’argomento è insostenibile nel prevalente sentimento anti-casta. Sembrano aride questioni tecniche e invece sono decisive per assicurare il rispetto della democrazia. Il nuovo esecutivo deve durare, quindi, almeno il tempo per approvare, in sequenza, la riduzione del numero parlamentari e la nuova legge elettorale, per non produrre l’anomalia di consegnare una spropositata maggioranza a forti minoranze.

Alleanza impensabile
La tenuta del governo Conte “bis”, termine usato da chi sottolinea la continuità con il primo, o “due”, termine usato per esplicitarne la discontinuità, è affidata al rapporto tra forze politiche finora fortemente contrapposte, non solo in Parlamento ma soprattutto nei territori, come sa chi è impegnato realmente in politica. Alcuni parlano di una “fusione fredda” che non può funzionare, ma un esempio diverso è arrivato da Roma con l’accordo avvenuto tra Comune, in mano al M5S, e Regione, presieduta dal segretario nazionale del Pd, per evitare lo sgombero traumatico di un palazzo occupato da persone senza casa. Non si ripeteranno così le immagini estive (è nota l’icona del bambino che protegge i suoi libri) dell’avvilente evacuazione delle famiglie in necessità abitativa da uno stabile del quartiere Primavalle.

Come ha dimostrato nel Lazio, lo stile di Zingaretti è quello del dialogo e non dello scontro (“non si governa da nemici”), ma deve gestire un partito dove è forte la componente renziana, ben rappresentata nel governo, che si è data appuntamento a ottobre nella convention della Leopolda. Il Pd torna inaspettatamente al governo mentre stava ancora avviando una fase di ridefinizione della propria identità con la “costituente delle idee”, prevista nel prossimo novembre con l’obiettivo di aprirsi alla società civile.

La crisi del Conte uno, con la requisitoria del 20 agosto pronunciata dal presidente del consiglio a reti unificate, ha come scosso e dato un rinnovato orgoglio al M5S che sembrava spacciato dopo le ultime elezioni regionali vinte trionfalmente dal centrodestra unito. La Lega, infatti, ha sempre tenuto accesi due forni, tra contratto di governo nazionale e alleanze diverse a livello locale. È possibile ora l’impensabile e cioè, per non continuare a perdere, stipulare alleanze programmatiche tra Pd e M5s negli enti locali? L’ipotesi sembra assai ardita.

Politica migratoria
Resta il fatto che il ruolo di governo assicura, di solito, un consenso maggiore, che può crescere se si fanno scelte coerenti e si è in grado di raccontarle. Di Maio ha posto due esponenti di fiducia (Catalfo e Patuanelli) nei ministeri chiave che ha occupato finora (Lavoro e Sviluppo economico), riservandosi il ruolo strategico di Ministro degli Esteri. Superando le facili ironie sulla sua debole formazione accademica, ha immediatamente inviato un messaggio al personale della Farnesina, in servizio in Italia e all’Estero, per affermare che «attenzione prioritaria sarà dedicata alle sfide e alle urgenze più immediate, come il Mediterraneo allargato, l’Africa e la questione migratoria, sulla quale intendiamo lavorare per una maggiore responsabilizzazione dell’Europa e un superamento del regolamento di Dublino».

Emblematica, inoltre, l’immediata presa di posizione del governo che ha impugnato una legge regionale del Friuli Venezia Giulia perché discriminatoria verso i migranti, su iniziativa del nuovo ministro per gli Affari regionali e le autonomie, il dem Francesco Boccia. Sembra una conferma dell’impressione che Marco Tarquinio ha espresso su Avvenire: un rinnovato clima di governo deciso «a smettere di fare guerra alla solidarietà», lodando la nomina a ministro degli Interno dell’ex prefetto di Milano Luciana Lamorgese, capace di garantire sicurezza e umanità.

Politica economica e credibilità
Il ministero chiave resta, ad ogni modo, quello dell’Economia. Sarà facile decifrare il ruolo che saprà svolgere Roberto Gualtieri, finora presidente della commissione problemi economici e monetari dell’Europarlamento. Che significa adottare una politica espansiva rispettosa delle regole di bilancio? Il profilo è autorevole e apprezzato a livello internazionale, ma si presta alle critiche di chi, dall’opposizione sovranista, lo disegna come un esecutore degli ordini che arrivano da Germania e Francia. Molti fanno notare, intanto, che il venir meno di sterili esibizioni anti Ue ha fatto calare lo spread, facendo risparmiare all’Italia miliardi di interessi da pagare sul nostro debito pubblico. Resta da verificare le scelte concrete che saranno compiute in sinergia con Paolo Gentiloni, presidente del Pd, che andrà a ricoprire il ruolo di Commissario Ue, senza dimenticare strategicamente la presidenza italiana, con David Sassoli, del Parlamento europeo.

Meriterà approfondire, man mano, le tematiche di ogni ministero come competenza e profilo, non solo dei ministri ma anche dei sottosegretari con le relative deleghe, per avere un’idea più appropriata del percorso che attende il BisConte, come anche viene definito il nuovo governo. La conferma di Sergio Costa all’Ambiente, ad esempio, andrò misurata sulla capacità effettiva di intervenire sulla necessità delle molteplici bonifiche dei disastri ambientali che affliggono l’Italia, a partire da quella cosiddetta Terra dei Fuochi in Campania dove ha dato prova di credibilità da servitore dello Stato. Così ci si attende un grande impegno contro la piaga del caporalato dalla ministra dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, con una storia di bracciante agricola e sindacalista di questa categoria di lavoratori.

Sono prioritari e decisivi i temi e i programmi dei governi, ma si conferma decisiva la credibilità e la storia di chi è chiamato a ricoprire certi compiti. Siamo solo all’inizio del difficile cammino di un nuovo governo, da seguire e accompagnare, capitolo per capitolo, nel merito delle questioni. Senza sconti, ma anche senza pregiudizi.

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