Primi passi nella separazione tra Stato e Chiesa

Il governo Tsipras propone un accordo con la Chiesa ortodossa di Atene per regolare i rapporti tra le autorità religiose e civili. Si discute sulla fine che faranno 10 mila preti attualmente stipendiati dallo Stato. Tante questioni sono ancora aperte

Il premier Tsipras ha osato toccare un problema molto sensibile della storia greca, forse volendo convincere piuttosto il suo pubblico di sinistra che altro, mostrando di non essersi troppo allontanato dai principi della sinistra: è il primo capo di governo greco che tenta di risolvere il nodo delle relazioni tra Stato e Chiesa.

Le opinioni, al solito, in Grecia si dividono. C’è chi pensa che l’abbia fatto solo per motivi elettorali, visto che l’accordo prevede che 10 mila preti usciranno così dagli organici dello Stato, il che creerebbe lo spazio necessario per un equivalente numero di nuovi posti nel settore pubblico per il 2020. Altri analisti sostengono invece che l’ha fatto in questo momento per sviare l’attenzione da altre questioni più urgenti come la crisi socioeconomica che persiste, le provocazioni turche, il problema dei profughi, l’Accordo di Prespes con Skopje e i problemi con l’Albania. Questi ultimi riguardano la violazione dei diritti umani contro la minoranza ellenica di Albania, che recentemente hanno preso una svolta tragica per l’assassinio di un uomo di 35 anni da parte di una squadra di trecento poliziotti nelle montagne albanesi e per il rifiuto delle autorità di restituire il corpo ai parenti per quasi dieci giorni.

L’intera opposizione ha reagito alla questione Stato-Chiesa non tanto per la separazione in sé, quanto per le modalità con cui Tsipras l’ha avviata, cogliendo tutti di sorpresa, senza consultazioni pubbliche e lasciando molte zone grigie nell’accordo, che evidenziano che non si tratta nei fatti di una separazione assoluta. Ad esempio, mentre l’accordo prevede l’uscita di 10 mila preti dagli organici statali, nello stesso tempo prevede sussidi annuali dello stesso ammontare versati in un conto riservato solo per la distribuzione dei salari agli stessi 10 mila chierici.

Un altro caposaldo della proposta riguarda il patrimonio della Chiesa Ortodossa. L’accordo prevede l’istituzione di un Fondo immobiliare la cui gestione e i cui profitti saranno condivisi tra Chiesa e Stato.  Un simile fondo in realtà esiste sin dal 2013, ma non è mai entrato in fase esecutiva.

«Quello che abbiamo firmato oggi è un accordo storico», ha affermato Tsipras l’altro giorno scatenando ovviamente critiche e reazioni non solo dall’opposizione, ma anche dal clero che si sente minacciato nelle sue prospettive previdenziali e assicurative. L’Unione del clero ha annunciato che farà di tutto e con tutti i mezzi, giuridici e altro, per evitare l’accordo. La verità è che ha avuto un primo successo, visto che il giorno seguente l’arcivescovo Geronimos ha chiarito che «non si tratta di un accordo ma di un’intenzione di accordo». In effetti, l’accordo deve essere firmato dal Sacro Sinodo e ovviamente ci sono molti passi ancora da fare per raggiungere un vero risultato finale.

Secondo fonti giornalistiche, anche il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo è preoccupato da questi sviluppi, sia perché non e stato informato preventivamente, sia perché la Chiesa di Creta e quella del Dodecaneso sono autonome, indipendenti dalla Chiesa ellenica, essendo legate direttamente al Patriarcato del Fanar.

Comunque due cose vanno dette: che il problema del rapporto tra Stato e Chiesa ha bisogno di una nuova legge, e che quindi l’iniziativa del governo Tsipras entra in un terreno in cui da tempo bisognava entrare. In secondo luogo, va detto che, secondo seri sondaggi, alla questione «qual e il più serio problema che la società greca deve affrontare», la maggior parte della gente non ha indicato né l’accordo di Prespes, né la separazione tra Stato e Chiesa, ma la situazione economica, con la ancor grave disoccupazione e i prospettati tagli alle pensioni.

 

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