Prima e dopo la Secessione Romana

Una mostra da non perdere al Centro Matteucci di Viareggio: la pittura italiana tra il 1900 e il 1935
Centro Matteucci

Cosa successe in Italia fra il 1900 e il 1935 nella pittura? Una rivoluzione, è il caso di dirlo. La pittura nostrana era un po’ vecchiotta, stretta fra l’accademismo, la nostalgia del passato, la paura dell’avvenire. Molti artisti mordevano il freno. Si trattava di Boccioni, Carrà, De Chirico, Casorati, Sironi, Morandi. Non stavano fermi e suscitavano movimenti come il Futurismo e la Metafisica, una stagione di contrasti, di invenzioni, di bollori giovanili.

A contatto con la contemporanea cultura europea – quella che conosceva Klimt, Kokoska, Picasso, Cézanne, Munch, Matisse ed amici – il gruppo puntò ad un deciso aggiornamento dell’arte italiana, ma aprì anche le porte al futuro. Le quattro mostre allestite cent’anni fa – tra il 1913 e il 1917 – nel romano Palazzo delle Esposizioni furono una sorta di Salon che segnò il punto di una partenza nuova per la modernità nel Belpaese.

Vale perciò la pena, oggi, fare un salto a Viareggio, e non solo per il mare e le spiagge. Al Centro Matteucci è aperta dal 20 luglio – durerà fino al 3 novembre – una rassegna inedita, ed eccellente appunto sulla pittura italiana di quegli anni.

Vederla è come sfogliare un libro di vita. I “Secessionisti”, come vennero chiamati con ironia dalla critica paludata quali “spasmodici innovatori”, parlano anche oggi, attraverso alcune loro opere esposte, con il linguaggio per il loro tempo rivoluzionario che tuttora segna una spinta, un incitamento ai giovani di “osare” nel Nuovo.

Ecco il Notturno di Felice Casorati (1912-13), il nudo femminile rosa nel celeste raffinato sul fondo: apparizione di eleganza botticelliana, ma moderna epifania di una bellezza gentile.

Al contrario, il Paesaggio con la neve a Bologna di Giorgio Morandi (1913) è una gelata pallida che fa ancora sentire i brividi, così opposta al calore della tela di Casorati. Ma quella di Morandi è una natura che risente di Cézanne, del suo stile essenziale, libera tuttavia dal geometricismo del francese.

Ecco ancora lo struggente Paesaggio trevigiano di Gino Rossi, sinfonia gialloverde di malinconiche dolcezze agresti. Se poi Felice Carena nel Ventaglio verde (1914) dipinge una”natura morta” a tinte forti, di un olio denso e squillante, Filippo de Pisis nel ’16 contempla una Marina con conchiglie con il suo timbro vellutato, dai colori belli di un mare col vaporetto, un piccolo uomo a passeggio e grosse conchiglie in primo piano.

Nel ’23 Giorgio de Chirico ripresenta una Natura morta dipinta con un colore spalmato: fiori e frutta sembrano creature viventi. E nel ‘31 in piena età fascista Massimo Campigli offre nelle Donne al sole l’immagine di un corpo geometrizzato ed “etrusco” di rara efficacia nei bianchi carnosi.

Per chiudere – senza chiudere, perché nella rassegna trovano spazio molti altri artisti – con la sublime Borgata di Carlo Carrà (1932). Un silenzio leopardiano percorre i toni biancogrigi del colore, il cielo epifanico nel suo chiarore. L’antico culto per la bellezza della natura, così italiano, nella modernità diventa essenziale, poesia alla Ungaretti, scarna, scabra. E piena di luce folta.

Una mostra da non perdere. (catalogo Centro Matteucci). Fino al 3/11

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Abbiamo a cuore la democrazia

Carlo Maria Viganò scismatico?

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons