Prima che l’amore finisca
l’amore finisca “Ci sono delle cose che si devono fare prima che l’amore finisca, perché dopo non si possono fare più, dopo c’è solo la morte. Così è per la vita di ciascuno, ma è anche per la vita del mondo”. È questo il “pensiero forte” che anima l’ultimo libro di Raniero La Valle: Prima che l’amore finisca. Testimoni per un’altra Storia possibile (edito da Ponte alle Grazie). Attraverso la narrazione di eventi e personaggi – 27 in tutto – che in vario modo si sono intrecciati con la vita dell’autore, La Valle ripercorre mezzo secolo di storia d’Italia, del mondo e di vita della chiesa, interpretandola e leggendola alla luce della Sacra Scrittura e della sensibilità del proprio pensiero. Ciascuno di questi capitoletti ha all’inizio due titoli: l’uno definisce dato storico, concreto, la persona oggetto della breve analisi (tra gli altri papa Giovanni, Moro, Berlinguer, padre Turoldo); l’altro un livello di lettura più profondo che cerca di cogliere e descrivere un filo che lega tutte queste persone e che dia a quelle singole storie un significato più ampio. In effetti il punto di vista da cui si guarda è quello segnato dalla nuova fase storica apertasi con l’11 settembre, quella che – nel pensiero di La Valle – conferma “la crisi della modernità “. La civiltà del diritto nata alla fine della Seconda guerra mondiale “finisce qui”: la rottura dell’unità del mondo, la scissione fra il bene e il male è diventata l’asse portante della politica mondiale, realizzata con gli strumenti del mercato e della guerra. E La Valle, uno dei più lucidi e fermi sostenitori del rifiuto alla guerra senza “se” e senza “ma”, indica chiaramente nell’attuale governo statunitense e in quel sistema economico i massimi responsabili di tale rottura: “Guerra e terrorismo non possono combattere l’una contro l’altro perché sono la stessa cosa; nessuno può vincere senza far vincere nello stesso tempo anche il suo nemico”. Certo emerge dalle tesi del libro e soprattutto dal tono che lo percorre la sensazione di una certa stanchezza, come di chi, dopo aver molto combattuto sia sul piano culturale che su quello politico, vede affermarsi la linea dei propri avversari e legge tale sconfitta in una prospettiva per così dire apocalittica, che prefigura l’avvento di “una notte” di cui l’11 settembre e gli eventi seguenti sono chiari simboli. Nello stesso tempo, però, la sua ansia di una società nuova in cui si possa affermare il messaggio, fondato su Gesù e san Paolo, di un’eguaglianza e di un amore universali, trova per l’autore nuovi fondamenti nelle parole e nelle testimonianze che ancora sono vive nella chiesa. Il risveglio dell’intera comunità cristiana in occasione della guerra contro l’Iraq ha suscitato, resuscitato la speranza stessa. “La cultura della fine non ha ancora spento l’amore. E, prima che l’amore finisca, occorre che dai silenzi scaturiscano nuove parole” che forzino l’aurora a nascere ancora.