Priebke e la memoria rimossa

Il clamore sul caso dell’ex ufficiale nazista rimette in evidenza la necessità di fare i conti con la storia italiana. Il fascismo continua a godere di sostenitori e ammiratori che con i soldi pubblici celebrano con un monumento il generale Graziani, reo di aver sterminato 4mila etiopi. A quando la pacificazione storica?
Una scritta dedicata a Priebke sul muro dell'ospedale Forlanini a Roma

Il mancato funerale del criminale di guerra Eric Priebke, da parte dei seguaci di Marcel Lefebvre ad Albano Laziale, ha messo in evidenza l’imprevedibile sollevazione popolare di molti abitanti della cittadina alle porte di Roma contro la decisione del prefetto di Roma che ha pensato di delocalizzare l’ennesimo problema fuori dalle porte della Capitale.

Non è stata affatto sorprendente, invece, la contemporanea presenza organizzata di sostenitori e ammiratori dell’ex ufficiale tedesco condannato come autore, tra gli altri, della strage delle Fosse Ardeatine a Roma. Priebke, catturato dalla latitanza in Argentina solo nel 1994, ha vissuto oltre cento anni senza mostrare alcun pentimento in nome di una dovuta obbedienza agli ordini superiori. Negli ultimi anni la stessa città dei Castelli Romani ha visto più volte formazioni nostalgiche del fascismo darsi adunata nelle sue strade per varie manifestazioni. La crescente presenza, soprattutto tra i giovani, di formazioni della destra estrema, che non disdegnano il richiamo attualizzato ai valori del ventennio, è facilmente riscontrabile in certi quartieri romani. In tale contesto è noto il valore emblematico delle tombe dei personaggi simbolo, come dimostra il pellegrinaggio tollerato al cimitero di Predappio in Romagna che ospita i resti di Benito Mussolini, con quella fiaccola perenne ben presente nella simbologia politica di quest’area. In città come Latina, ad esempio, i viaggi organizzati a Predappio sono frequenti come quelli diretti in qualche santuario.

La ribellione della gente comune ad Albano rivela un legame insolito con una memoria antifascista diffusa in un territorio ex pontificio che, fino alla caduta del Muro, era un feudo elettorale rosso ma che vedeva anche i contadini cattolici esporre, nelle loro casupole diffuse tra le vigne, il ritratto di don Giovanni Minzoni, il parroco ferrarese bastonato a morte per aver contrastato l’egemonia culturale sui suoi giovani da parte di un regime che avrebbe condotto l’Italia all’emanazione delle leggi razziali e alla guerra di aggressione.

La complessità di ogni vicenda storica e la necessaria ricerca della pacificazione e purificazione della memoria non possono perciò agire come una rimozione collettiva di responsabilità personali e collettive. Sempre nel Lazio ad esempio è avvenuta recentemente l’erezione, con soldi pubblici, nel comune di Affile di un sacrario in onore di quel generale Rodolfo Graziani che, assieme a tante altre nefandezze come l’adozione dei campi di concentramento, si macchiò nel 1937, in Etiopia, del massacro indiscriminato della popolazione, con almeno 4 mila morti per rappresaglia. L’ufficiale italiano ordinò tra l’altro la strage di tutti i monaci e diaconi cristiani copti della città conventuale di Debra Libanòs.

Nel dopoguerra Graziani rimase, dopo vari condoni, tranquillamente nella sua casa dei Parioli a Roma. Un pezzo di storia inquietante con cui dobbiamo fare ancora i conti e che non possiamo dimenticare senza aprire la strada a nuovi orrori. 

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