Prevenire ed educare al Sud
Che si parli di salute o di servizi sociali, di delinquenza o di politiche criminali quello della prevenzione rimane un tema cruciale. Se è compito della società, rectius, cioè più correttamente, della politica in senso lato individuare strategie applicabili all’insieme della popolazione per evitare l’insorgere di determinati problemi o predisporre interventi mirati alla protezione dei più vulnerabili, in ambito giudiziario fare prevenzione significa intervenire per evitare la reiterazione di condotte delinquenziali ed ancor prima impedire che un contesto familiare inadeguato privi i suoi componenti più giovani non solo dei beni materiali necessari al sostentamento, ma anche del diritto all’educazione, ossia di quel percorso formativo che consente all’individuo di sviluppare pienamente le sue potenzialità e quindi di integrarsi nella società.
Di prevenzione ed educazione si è parlato per tre giorni al XXXVI° Congresso Nazionale dell’A.I.M.M.F. (Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia), che ha come scopo quello di tutelare e promuovere i diritti dei minorenni e della famiglia.
A confrontarsi magistrati, docenti universitari, avvocati, psicologi, neuropsichiatri infantili, assistenti sociali, pedagogisti, educatori.
Un binomio, quello fra prevenzione-educazione, da sempre inteso come elemento fondamentale su cui costruire un sistema di tutela che vede il minore e le sue esigenze evolutive al centro di tutte le azioni realizzate dalle istituzioni preposte e che individua nell’interazione fra giudici specializzati, esperti in scienze umane ed operatori del settore, l’unica via per la realizzazione di una giustizia a misura di minore.
Il congresso si è tenuto al Sud, in Calabria, e precisamente a Catanzaro.
Una scelta non casuale posto che dai tribunali del Sud giungono prassi virtuose.
In particolare da Reggio Calabria e Catanzaro che si sono distinti negli ultimi anni per interventi in tutela dei minori appartenenti alle famiglie di ‘ndrangheta .
Il legislatore ha previsto espressamente che il Tribunale per i minorenni, ove ravvisi una situazione di pregiudizio ed al fine di perseguire il «superiore interesse del minore» (previsto dall’art 3 Convenzione sui diritti del fanciullo stipulata a New York nel 1989), possa emettere provvedimenti in sua tutela. Potrà, nei casi più gravi, dichiarare la decadenza di quella che una volta si chiamava patria potestà, oggi responsabilità genitoriale, oppure limitarla affidando il minore ai servizi sociali . E, nel caso in cui dalla permanenza in famiglia derivi un grave pregiudizio, il minore potrà essere allontanato dal nucleo e collocato in un luogo sicuro ed adeguato.
Abbandono non è solo quello che nasce da una deprivazione materiale o da vessazioni fisiche, ma anche quello che deriva dall’essere privati dal diritto ad essere educati nel rispetto dei principi costituzionali e dei valori della convivenza civile.
In uno dei provvedimenti con il quale il Tribunale di Reggio Calabria ha disposto l’allontanamento di un minore da un contesto familiare di criminalità organizzata si legge «un modello educativo proposto dagli stretti familiari i cui comportamenti sovversivi delle regole morali e civiche del vivere vengono per facta concludentia indicati come norma di vita e linea di condotta – rischia di compromette lo sviluppo dei minori esponendoli a condotte devianti e ad un futuro di sofferenza, in cui la carcerazione appare nella migliore delle ipotesi come destino ineluttabile».
In un ambiente culturale dove le istituzioni vengono percepite come nemiche e si sputa in terra al passaggio di una volante della polizia o ci si fa tatuare sotto la pianta del piede l’immagine di un carabiniere per poterla calpestare, non può non ritenersi che il diritto del minore di crescere ed essere educato all’interno della propria famiglia debba essere bilanciato con quello di ricevere una educazione responsabile che lo preservi dalle conseguenze riconnesse alla trasgressione dei valori condivisi.
Provvedimenti forti e coraggiosi quelli assunti dai tribunali calabresi, da alcuni criticati sul presupposto che l’autorità giudiziaria abbia invaso ambiti riservati alla famiglia, alla scuola, alla Chiesa, a tutte le agenzie deputate all’educazione, ma che sicuramente hanno supplito ad un vuoto, hanno costituito estrema ratio, aprendo uno spiraglio in situazioni incancrenite da anni. Un progetto battezzato “Liberi di scegliere”, che ha visto il coinvolgimento di equipe multidisciplinari e che ha evidentemente portato frutti se negli ultimi anni alcune madri dei ragazzi tutelati hanno chiesto di collaborare con la giustizia, se altre, in segreto, hanno chiesto di “salvare” i loro figli allontanandoli dalla famiglia, se diversi giovani divenuti maggiorenni hanno chiesto aiuto per poter rimanere nella località diverse da quella di provenienza dove desideravano integrarsi anche lavorativamente. Domanda quest’ultima che ha trovato grazie alla rete delle associazioni Libera che tanto hanno fatto e stanno facendo per assicurare un dopo. Perché il procedimento presso il Tribunale per i minorenni al compimento della maggiore età del giovane viene comunque archiviato.
L’hanno definito l’Erasmus della legalità per le opportunità di formazione e risocializzazione che consente.
Quello creato dalle famiglie di ‘ndrangheta è un legame di sangue, consacrato da riti “antropologici ”, che accompagna per tutta la vita la persona, una vita dove regnano sovrani paura, angoscia, ineluttabilità del proprio destino, dove non c’è spazio per sogni, per la speranza.
Non è un caso che al congresso sia stato invitato anche il regista Fernando Muraca che nel lungometraggio “La terra dei Santi” ha raccontato magistralmente di questo vincolo e della difficoltà di liberarsi e lo ha fatto attraverso gli occhi delle donne di ndrangheta.
Un regista che è calabrese e che la ‘ndrangheta l’ha conosciuta in prima persona (l’azienda del padre è stata distrutta dalla criminalità) ed ha voluto mettere la propria professionalità a disposizione dei giovani detenuti presso l’Istituto penale minorile di Catanzaro. Iniziato come cineforum, il progetto si è trasformato in un vero e proprio laboratorio cinematografico nel quale per due mesi i ragazzi detenuti, divenuti attori, hanno potuto compiere, nel raccontare e nel raccontarsi, un percorso di recupero delle emozioni e dei valori del vivere civile. Perché è la mancanza di emozioni e di comprensione del disvalore delle condotta che porta a compiere gesti criminali la cui gravità e portata sarebbero diversamente incomprensibili.
È un fiorire di progetti anche a Napoli dove la camorra impera e dove sinistre figure femminili si sostituiscono spesso ai boss detenuti o a Catania dove la mafia è più insidiosa e nascosta e rende più difficile il pentimento, ma dove, in tanti casi, minori detenuti negli istituti di pena, attraverso una riscoperta dell’Etna, del mare, del sentirsi parte di una terra che ha una sua storia e una cultura e non solo di un quartiere che anche nominativamente è considerato “altro” dalla città, sono riusciti, per usare le loro stesse parole, «a mettere un pezzo di terra in mezzo», prendendo le distanze dal loro passato.
Progetti di inclusione che possono muovere dall’intervento della magistratura minorile ma che richiedono la collaborazione dell’intero contesto sociale.
Il contributo di «importanti compagni di viaggio» per usare le parole di Piergiorgio Morosini consigliere del CSM intervenuto al congresso, ossia «di ampi settori del volontariato, di pezzi del mondo accademico della Chiesa, dei rappresentanti di enti locali, del garante dell’infanzia. Tutte persone impegnate quotidianamente nella società per dare corpo all’uguaglianza e per migliorare la qualità della nostra democrazia. Diciamolo, la parte migliore del nostro Paese. Che dimostra come, pur tra tanti problemi quotidiani, vi siano ancora tante risorse ideali, istituzionali e professionali su cui contare. Sono legami spontanei, direi fisiologici, della giurisdizione che si occupa di adolescenti. Legami che mostrano come la giustizia un cantiere aperto a tante istanze, sia portata a farsi carico di problemi che vanno oltre la mera applicazione delle norme che riguardano, più in generale, la dignità della persona, la solidarietà, l’autodeterminazione».
Insomma occorrono progetti ad ampio raggio. Perché il male ormai lo conosciamo nelle sue sfaccettature più diverse ma occorre esplorare il bene.
Occorrono quindi servizi specializzati e formati, comunità funzionanti e atte ad accogliere minori bisognosi, case famiglia accoglienti e gestite da personale altamente qualificato, tutori motivati, progetti per il reperimento e il sostegno alle famiglie affidatarie. Insomma l’impegno del Welfare e del privato sociale. Perchè dopo l’Erasmus …bisogna tornare a casa.