Preti e nuovi media
Il sacerdote tra fedeltà alla vocazione e novità tecnologiche. Dialogo in redazione.
A un convegno parrocchiale su “Famiglia e nuovi media”, dopo le relazioni di alcuni esperti, al momento del dialogo col pubblico un sacerdote ha chiesto: «I ragazzi oggi preferiscono le nuove tecnologie. Secondo voi devo trasformare l’oratorio in una sala giochi o è meglio continuare a proporre il pallone, come si faceva una volta?». Il prete di fronte alle tumultuose tecnologie di oggi può sentirsi spaesato e solo. Specialmente se non ha chiaro come porsi davanti alle opportunità (e i rischi) di questi strumenti. È la sfida del futuro. Ne parliamo con sacerdoti e laici, di diverse competenze ed esperienze.
Pippo Corigliano – responsabile comunicazione Opus Dei (Roma): «Il sacerdote viene spesso fermato da persone che chiedono: “Padre, ho un problema, cosa posso fare?”. Questo è quello che la gente vuole, trovare l’uomo di Dio, con un cuore e un’esperienza, capace di consigliare. Bisogna incoraggiarlo a sentirsi portatore di qualcosa che solo lui ha, cioè la capacità di essere guida per le anime. Anche rispetto a Internet».
padre Cyril Jancisin – massmediologo (Bratislava): «Se l’obiettivo è costruire rapporti veri, sicuramente giocando col pallone si costruiscono amicizie. Quindi suggerisco di continuare con l’oratorio, ma iniziando anche una formazione dei ragazzi sulle nuove tecnologie. Il problema non è come usare Internet, i giovani lo sanno bene, ma saper scegliere, navigare con criterio, valutare il contenuto dei media. Questa è la sfida».
Don Giampiero Cinelli – vicario comunicazione diocesi (Ascoli): «L’età media dei sacerdoti comincia ad essere alta, e c’è in molti la paura o il rischio di rimanere indietro. Ma se l’obiettivo è trasferire anche nel mondo virtuale la vita della comunità cristiana, il sacerdote può farsi aiutare dai laici. Nella mia parrocchia un ingegnere assiste gratuitamente le famiglie, mentre coi giovani più volenterosi abbiamo creato una web tv per trasmettere la messa domenicale. Con pochi soldi abbiamo acquistato telecamere e mixer, poi abbiamo comunicato la novità in chiesa e sul giornale parrocchiale, invitando i ragazzi ad aiutare i nonni a collegarsi ad Internet. Ora più gente partecipa alla vita parrocchiale».
Don José Carlos Isla – già direttore comunicazione vescovi (Spagna sud): «Il sacerdote in Rete deve comportarsi come tutti, senza rifiutare le opportunità offerte dai media per il servizio che la Chiesa gli chiede. L’importante è far trasparire la propria vita, la propria vocazione; non può dire in chiesa “sono un prete” e invece davanti al pc “sono un uomo come tanti”. Mentre chatta deve dare Dio, essere sacerdote anche davanti al computer».
È efficace la presenza dei cristiani in Rete?
Andrea Cruciani – imprenditore informatico (Perugia): «Su Facebook ci sono gruppi di decine di migliaia di iscritti con la devozione classica, il “prega per noi”, attraente per un pubblico sopra i 60 anni. Certo, trasportare in questi nuovi mondi virtuali modi di comunicare adatti ad altre situazioni non è la cosa migliore. Ogni media ha il suo linguaggio specifico. Ho trovato ottimi siti di oratori dove c’è scambio continuo di vita tra reale e virtuale: durante la settimana usano la Rete per comunicarsi vita, esperienze, battute; poi il sabato approfondiscono la conoscenza incontrandosi di persona».
Tanino Minuta – blogger (Slovacchia). «Dopo anni di collaborazione con la rivista Città Nuova, mi hanno proposto di tenere un blog. Non avevo mai sentito questa parola ma, col loro aiuto, ho cominciato a pubblicare esperienze: dopo pochi mesi ho più di 11 mila visitatori. Incredibile! La cosa che più mi sorprende è il rapporto che si crea, è un vero dialogo in cui metto in Rete, in piena trasparenza, il mio modo di vivere, perché faccio certe cose, quali sono i miei ideali. Mi hanno scritto anche dei bambini. Con questo strumento non sai dove vai a finire».
Isla: «La vita del sacerdote ha senso se è rapporto: col vescovo, con altri sacerdoti, coi laici. Conosco preti che, anche operando in luoghi isolati, dopo una giornata con i ragazzi, le persone anziane, i bisognosi di aiuto, a sera si mettono in contatto con altri sacerdoti per condividere quello che hanno vissuto. Internet è un regalo che abbiamo ricevuto per crescere nella comunione».
Jancisin: «La formazione nei seminari, però, tante volte non affronta abbastanza le sfide dell’uso della tecnologia, per cui il prete giovane è spesso da solo davanti a questi mezzi, anche davanti ai pericoli nascosti».
Cruciani: «Un amico che lavora in discoteca mi ha detto che anche lì c’è crisi. La gente preferisce rimanere a casa per giocare coi videogiochi o ai giochi di ruolo, vivendo la vita a rovescio, la notte giocano e il giorno dormono. C’è una progressiva alienazione. La solitudine quindi non è solo del prete, ma anche del giovane che, a forza di nascondersi dietro un alias, perde la realtà. Pochi giorni fa ho incontrato per strada un amico, di Facebook, che non mi ha salutato. Allo stesso tempo, però, gestisco un gruppo su Chiara Luce che ha 27 mila contatti; ogni giorno mettiamo frasi di lei, brani della sua vita e centinaia e centinaia di persone scrivono dicendo: mi ha aiutato, mi ha toccato. Un feedback fortissimo. Conosco persone che tramite Facebook hanno riscoperto la fede, tramite la relazione virtuale hanno ritrovato quell’amore che non ti lascia e non ti fa perdere nessuno».
Corigliano: «Il problema non è tecnico. Il sacerdote anziano con la sua esperienza può e deve trasmettere la consapevolezza di avere un tesoro tra le mani che altri non hanno, non per superbia, ma come consapevolezza della povertà del mondo nei confronti della Chiesa. Oggi, nella crisi delle ideologie, vince la felicità del cristiano, siamo gli unici felici. Naturalmente in senso relativo, perché siamo poca cosa di fronte a Dio, ma abbiamo comunque una ricchezza d’amore che dobbiamo distribuire a coloro che sembrano vittoriosi, ma in realtà hanno dentro il deserto. Siamo gli unici che parlano di felicità, in questo mondo e nell’altro».
Riccardo Poggi – ingegnere (Genova): «Secondo me il discorso va impostato su basi diverse. Che inizierebbero dal chiedersi (per il prete ma anche per il laico) “cosa desidero, oggi” o, per dirla con Benedetto XVI, “io, che cosa attendo? A che cosa, in questo momento della mia vita, è proteso il mio cuore?”. Se il prete è spaesato, non è problema della sola tecnologia. Lui, come tutti, è immerso in una società che ha sostituito alla persona il prodotto, al desiderio il godimento, all’amore la prestazione, al riconoscimento reciproco la valutazione. Abbiamo bisogno di “avere” una ricetta per la Rete, ma non ci occupiamo di cosa vogliamo “essere”. Le domandine hanno la funzione di comodi alibi rispetto ad altre domande, queste sì con risposta difficile. Un po’ come noi genitori, che diamo la colpa a Internet se i figli ci sembrano svogliati e lontani, o ci domandiamo se, per dialogare con loro, dobbiamo farci insegnare a usare la Rete. Ma non ci chiediamo quale sia la qualità del rapporto coi figli; quale sia il reciproco riconoscerci. Per un prete, forse la vera domanda è come mantenere la propria identità di sacerdote, e al tempo stesso ravvivare il contatto con la propria comunità».
Cruciani: «Ma smettere di usare questi media perché sono il male, significa smettere di amare chi li usa. Dobbiamo trovare equilibrio nella nostra vita, essere gli stessi nella vita reale e nel virtuale, creare sempre l’incontro. Certo, in Internet ci sarà l’alienato, ma proprio lì lo posso trovare, mettermi accanto a lui nella piaga, essergli vicino nel concreto».
Cinelli: «I mezzi di comunicazione esistono per creare comunione e avvicinare le persone. Non a caso, Internet è stato recentemente proposto come Nobel per la pace. Siamo chiamati ad essere sacerdoti in questa cultura, quindi capaci di parlare questi linguaggi».
I giovani di oggi, “prima generazione incredula”, sono più in Rete che in parrocchia…
Minuta: «Nel blog mi scrivono anche persone non credenti domandandomi: “Ma tu chi sei?”. Qualcuno mi chiede una risposta personale, altri rimangono anonimi. Internet può essere strumento di evangelizzazione e dai rapporti che si creano si evince che c’è una regia che non vediamo. Forse l’aspetto più coinvolgente del blog è vedere che è un contributo a creare fraternità. Una persona mi ha scritto una poesia incomprensibile, ma l’ho pubblicata lo stesso perché mi sembrava un dono».
Isla: «Davanti ai social network si deve avere lo stesso atteggiamento che si ha in piazza: rispetto per l’altro. Internet non è un filtro per nascondersi. Se anche nel mondo virtuale sei te stesso, trasparente, l’altro può pian piano aprirsi e raccontarti quello che sta vivendo. Il virtuale così diventa reale. Per questo dicevo che Internet è un regalo per il sacerdote».
Cruciani: «L’innovazione è così veloce che non ci sono più i tempi di maturazione emotiva. Ma attenzione, navigare su Internet non è obbligatorio. Ogni sacerdote è diverso, per cui ognuno dovrebbe usare i mezzi che sente a lui più congeniali».
Corigliano: «Il problema non sono i preti, ma i laici. Nonostante i momenti di solitudine, i sacerdoti riescono a perseverare, mentre i laici dove sono? Tanti convegni, promossi anche dalla gerarchia, girano a vuoto per questo. La Chiesa, che è stata la prima entità globalizzante nel mondo, è oggi sprovvista di capacità di produrre comunicazione, informazione e fiction, per la scarsa propensione dei laici, che si devono invece mettere in gioco».
Minuta: «Internet non è una macchina che va da sola, bisogna metterci il contenuto, l’idea, dargli un vestito. Una volta mi hanno chiesto cos’è la felicità. Ho risposto: “Rendere felici gli altri” ed è stato un grande successo, tanti lettori mi hanno ringraziato. Bisogna avere idee e poi usare i mezzi, che da soli non hanno nessun potere».
Cinelli: «Quest’estate un nostro ragazzo di vent’anni ha perso la vita in mare: immediatamente tra i suoi amici c’è stato un salto di qualità nei rapporti, anche grazie alla Rete. Su Facebook non si parla mai di argomenti profondi, come la morte, e invece noi sacerdoti dovremmo far fare il salto dal rapporto virtuale a una realtà più bella e grande, dare il senso del futuro, dell’immortalità».
Isla: «Se in ogni post, ogni messaggio, ogni esperienza cerco di dare Gesù, che è poi la mia vocazione, agisco come Maria. Lei era sempre all’ascolto di Gesù e di quelli che aveva intorno, per capire qual era il passo seguente da fare. Soprattutto pensando al futuro: l’atteggiamento mariano, infatti, permette di capire e camminare al passo con la modernità».