Fare il prete, un mestiere rischioso
Nella terra del sito religioso più visitato del mondo – il santuario della Madonna di Guadalupe, protettrice d’America – un‘ordigno esplosivo è stato fatto esplodere, nella notte tra il 24 e 25 luglio all’ingresso della sede della Conferenza episcopale messicana. Fortunatamente gli unici danni provocati sono stati quelli al portone.
L’episodio giunge dopo le numerose manifestazioni di intolleranza occorse nell’ultimo anno e mezzo in America Latina, come l’attacco incendiario dell’8 marzo alla cancellata della cattedrale di Buenos Aires e i 15 templi cattolici ed evangelici incendiati nel 2016 nell’Araucanía cilena (giovedì se n’è aggiunto un sedicesimo).
Come mai questa escalation di intolleranza, nel continente cristiano per eccellenza?
Naturalmente le motivazioni sono diverse, ma si associano a una visione della Chiesa come centro di potere e istituzione conservatrice antiprogressista.
Nel caso del Cile, nel perenne conflitto Stato-mapuches, nel quale questo popolo nativo, che costituisce il 12% della popolazione cilena, reclama terra e diritti e la fine di una discriminazione storica, la Chiesa è assimilata allo Stato, dai tempi nefasti del regime di Pinochet, ed è quindi “il nemico”.
Le ultrafemministe argentine – una minoranza nel quadro del vasto e storico movimento per i diritti delle donne nel Paese del tango – vedono nella dottrina cattolica le radici stesse della mancanza di libertà del decidere sul “proprio corpo” e di altri fattori di disuguaglianza tra i sessi.
In Messico, questi attacchi istituzionali sono di recente apparizione.
E nel presente caso, un gruppo femminista ha rivendicato l’esplosione con questo messaggio: «Nè Dio né padroni. Per ognuna delle torture e degli assassinii perpetrati in nome del vostro Dio. Per ogni bambino vessato dai sacerdoti pedofili».
Ma il Messico non è nuovo agli attacchi alla Chiesa nelle persone che hanno dedicato la vita al servizio della giustizia: 44 sono i sacerdoti uccisi negli ultimi 26 anni come risultato di 66 attacchi a cattolici, che hanno provocato anche la morte del cardinale di Guadalajara, Juan Jesús Posadas (1993), di un diacono, 4 religiosi, 9 laici e una giornalista. Sono dati del Centro cattolico multimediale (Ccm), che collocano il Messico, per il settimo anno consecutivo, al primo posto nella classifica dei crimini contro sacerdoti e laici a livello, seguito dal Venezuela.
Fece scalpore in particolare l’attacco del 15 maggio a don Miguel Ángel Machorro – salvo dopo giorni in bilico tra la vita e la morte – pugnalato al collo sull’altare appena conclusa la messa, nella cattedrale di Città del Messico.
Il più recente (il 6 luglio) è l’assassinio di don Luis López, settantunenne amato parroco di El Pino, a una decina di km dalla capitale.
Salvo pochi casi isolati, la violenza è chiaramente attribuibile al narcotraffico e ai suoi alleati nelle istituzioni.
«Questi gruppi che attentano contro sacerdoti e religiosi cercano di limitare le attività del lavoro pastorale della Chiesa in Messico, che agisce nel campo sanitario, educativo, assistenziale e a favore dei diritti umani dei migranti che transitano sul suolo messicano», sottolinea il rapporto del Ccm.
Anche quello dei migranti è terreno pericoloso, poiché mina l’azione lucrativa di “ausilio” all’ingresso illegale negli Stati Uniti, monopolizzata dai narcos.
Nel settembre scorso, tre sacerdoti sono stati sequestrati e uccisi negli Stati di Veracruz (alla frontiera con il Guatemala) e di Michoacán (ovest del Paese), entrambi dominati dai narcos. I cadaveri hanno evidenziato segni di tortura e tuttavia gli inquirenti hanno rapidamente scartato il movente della ritorsione di gruppi criminali, indicando invece il furto e persino l’attività pedofila di uno di loro, esibendo un video rivelatosi falso.
Il gigante latino del Nordamerica, con oltre 220 milioni di abitanti, terra ricchissima di risorse naturali e umane, variopinto mosaico multiculturale, è in testa alle graduatorie mondiali di corruzione, criminalità e violenza – strettamente legati, giacché i miliardari affari del narcotraffico fanno gola e necessitano della protezione di politici e autorità – ed è tra gli ultimi in quanto a libertà di informazione – per gli stessi motivi.
Essere preti o giornalisti è pericolosissimo, in Messico.
«L’assassinio di sacerdoti è riflesso della vulnerabilità del Paese».
Così riassume, in conclusione, Antonio Gutiérrez Montaño, portavoce dell’arcidiocesi di Guadalajara, la più grande del Paese, con 6 milioni di fedeli. «Sappiamo che il Messico è la nazione nella quale si uccidono più sacerdoti in America Latina, ma è parte della nostra missione denunciare ciò che è contro i valori, e questo implica conseguenze».