Nasce il governo López Obrador
Dopo cinque lunghissimi mesi di transizione, ha assunto le sue funzioni lo scorso sabato il presidente del Messico Andrés Manuel López Obrador, conosciuto con la sigla Amlo.
Lo ha fatto annunciando cambiamenti sostanziali nel Paese. Le diseguaglianze sociali, la lotta contro la violenza e la corruzione saranno le priorità. Ed in questo avrà molto da fare dopo la gestione quanto meno insipida del suo predecessore, con una classe politica avvinghiata al potere e spesso connivente con una delinquenza capace di una violenza senza pari.
Il delitto si estende ai gangli dello Stato: appena l’1% dei crimini arriva a una sentenza, magistrati e forze dell’ordine sono spesso sulla lista paga della delinquenza. Gli omicidi lo scorso anno sono stati più di 26 mila.
Le cifre ufficiali ammettono circa 27 mila desaparecidos, ma le organizzazioni per i diritti umani le elevano a circa 50 mila. Siamo a livelli storici di violenza e, come è accaduto ai tre napoletani “venduti” dalla polizia dopo averli fermati, si può ammazzare per qualche centinaio di euro.
Nel suo discorso inaugurale, López Obrador ha invitato ad aprire un nuovo capitolo della storia. Un livello tale di corruzione ha bisogno di un punto e a capo dopo il quale ci sarà “tolleranza zero”. Il suo discorso riconosce indirettamente che esiste un vero e proprio conflitto latente dal quale bisogna emergere, magari anche chiudendo gli occhi sul passato.
L’altro fronte sarà la povertà che Amlo pure pretende combattere. Dei più di 120 milioni di messicani il 44% è povero ed il 6% vive nell’indigenza. Un mare di necessità che sconvolge la vita di 60 milioni di persone ed è inaccettabile per una delle prime 15 economie del mondo, inserita nel gruppo dell’Ocde, quello dei più avanzati nel mondo.
Ma all’interno del gruppo, il Messico è il fanalino di coda in quanto a disuguaglianze e nel rapporto tra imposte e Pil: se la media Ocde è del 34%, in Messico si raggiunge appena il 20%, il che indica grossi problemi di ridistribuzione della ricchezza prodotta. Cosciente della necessita di evitare i timori degli settori industriali, abituati a lauti livelli di profitti, López Obrador promette di migliorare la qualità di vita dei settori poveri senza aumentare le tasse. Ed è possibile che un lavoro serio per tappare le falle degli sprechi delle risorse pubbliche possa avere effetti sensibili, migliorando la qualità di servizi essenziali.
Ci riuscirà? Il capitale politico accumulato questi mesi è notevole. Amlo ha vinto le elezioni superando tutti i partiti messi insieme. Ha in parlamento la maggioranza necessaria al suo partito (Morena) per dotarsi degli strumenti legislativi necessari. La sua popolarità è cresciuta al 63%, il che genera un vento in poppa politico indispensabile per i primi mesi di gestione, dove si confronterà con la prova dei fatti.
In questi cinque mesi di transizione, López Obrador è ricorso a mini consulte popolari per elaborare alcune decisioni del suo programma, come quella di frenare il megaprogetto da 13 miliardi di dollari del nuovo aeroporto di Città del Messico.
Uno stile nuovo, meno decisionista di colleghi come Donald Trump o del brasiliano Bolsonaro. La partecipazione alle consultazioni non è state massiccia, ma appare uno strumento che favorisce una maggiore partecipazione politica nel secolo delle reti sociali. Non è poco.
Sul fronte internazionale, il presidente ha saputo far fronte ai complessi rapporti col presidente degli Usa, Donald Trump, in merito ai negoziati sul trattato di libero commercio in vigore, che abbraccia anche il Canada, ed in merito al problema dei migranti illegali che attraversano il Paese per entrare negli Stati Uniti.
López Obrador sta cercando di ottenere la cooperazione della Casa Bianca per creare condizioni di sviluppo al sud del Messico e in America Centrale, per frenare le migrazioni. Una scelta ragionevole che pare piaccia alla Casa Bianca.