Prendersi cura dei bambini poveri

Per aiutare i più fragili 112 anni fa nasceva l'opera Don Calabria. La testimonianza di un operatore
Giovanni Fabris in missione

Nel contesto sociale nel quale viviamo,potrebbe sembrare anacronistico parlare di santi e dei loro carismi, ma la storia di ciascuno a volte passa proprio attraverso queste personalità, quanto mai attuali, che hanno cambiato e continuano a segnare la vita di tanti. E la vita di Giovanni Fabris, che ha conosciuto sin da ragazzo il Movimento dei Focolari, si è incrociata con la spiritualità di don Calabria, grazie al suo lavoro proprio nella terra di questo sacerdote proclamato santo.

Sposato da 25 anni con Lucia, hanno tre figli, Davide e Gianluca all’università e Ilaria al liceo, e vivono in Valpolicella, alle porte di Verona. «Lavoro presso l’Istituto Don Calabria dal 2005 – inizia a raccontare Giovanni –, nella casa madre e casa generalizia della Congregazione dei Poveri servi della Divina Provvidenza, fondata all’inizio del secolo scorso da questo sacerdote diocesano che ha seguito Gesù nella chiamata ad occuparsi dei bambini abbandonati che vagabondavano per le strade. Se ne prese cura educandoli, insegnando loro un lavoro e seguendoli anche quando, raggiunta la maggiore età, lasciavano la sua casa. Così, tanti di loro sono riusciti a riscattare la condizione di povertà creandosi un futuro, una famiglia. Tempo fa, è venuto a trovarci un signore anziano con la moglie dal Canada, dove vivono da più di 50 anni e hanno fondato un’azienda meccanica, il lavoro che lui aveva imparato da bambino nel Collegio Don Calabria. Aveva il desiderio di far conoscere alla moglie la casa dove aveva vissuto il sacerdote che accogliendolo gli aveva cambiato la vita».

Come mai ha scelto di lavorare per l’Opera Don Calabria?
Mi trovavo anch’io in una situazione di difficoltà. Lavoravo infatti nel campo dell’informatica applicata all’elettronica, ma l’azienda era in crisi e, a 40 anni, trovare un altro lavoro non era facile in quanto avevo una professionalità molto specifica. Sono venuto a conoscenza che alla casa madre cercavano qualcuno che si occupasse di seguire le missioni. Questo rapprensentava per me un cambiamento totale, avevo molti dubbi, ma poi, grazie anche al confronto con mia moglie, ho deciso di provare. Sentivo che Dio mi dava la possibilità di cambiare non solo la mia vita professionale, ma anche quella personale e quella della mia famiglia.

Puoi raccontarci del tuo impegno lavorativo?
Ho iniziato a lavorare rispondendo alle necessità di tanti missionari. Il sostegno necessario alle missioni va dall’acquisto di un taglialegna alla piastra per confezionare le ostie, dall’invio di capi di abbigliamento al materiale sanitario che l’ospedale qui a Verona dismette, ma che in alcuni Paesi può ancora essere utilizzato. Tre anni fa ho cambiato mansione. Mi occupo soprattutto degli aspetti economici e amministrativi del Consiglio generale e con l’economo stiamo portando avanti un grande processo di riforma nella gestione di tutta la congregazione.

In che cosa consiste?
Le sfide per un’organizzazione di questo tipo sono molte: il fatto di lavorare con persone di diverse etnie e culture diverse; la presenza di più di 7.500 collaboratori laici, senza contare i numerosissimi volontari. Vi sono anche le sfide che il lavorare nelle periferie del mondo d’oggi pone: non accettare compromessi con le amministrazioni, garantire un’assistenza diretta veramente ai più poveri, prestare attenzione alle nuove povertà. Stiamo lavorando per mettere in atto un modo di gestire la congregazione basato sulla collegialità, sulla condivisione degli obiettivi e delle responsabilità, sulla capacità di amministrare in modo efficace e trasparente i beni che la Provvidenza ci affida.

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