Premyoga, la via dell’amore
Nonostante consumismo, materialismo e globalizzazione sembrino voler ridisegnare la storia dell’umanità, anche oggi il rapporto con Dio resta il desiderio più struggente dell’uomo. Del resto, si potrebbe riscrivere la storia intera proprio prendendo quest’anelito a parametro di giudizio, e seguirne poi le diverse risposte date da pensatori, uomini di fede, profeti, ma anche da gente comune che li ha seguiti. Sembra assurdo, eppure il voler arrivare a Dio ha spesso messo gli uomini l’uno contro l’altro. Ne siamo tutti testimoni oggi. Se da un lato tutto questo appare vero e suscita allarme, dall’altro non si può non riconoscere quanto si stia facendo per sperimentare che, nonostante le loro diversità, le strade che portano verso Dio sono come raggi che avvicinano gli uomini fra loro. L’incontro tra due mondi In un tale contesto, ogni goccia può essere un contributo insostituibile al grande oceano di pace che l’umanità vorrebbe essere, purtroppo per ora, senza riuscirci. Il conoscersi senza remore culturali è in definitiva una strada ideale al dialogo interculturale e interreligioso. Induismo e cristianesimo non fanno eccezione, anche se il loro incontro è sempre avvenuto su un territorio limitato, l’India, perché l’induismo si è diffuso solo all’interno del subcontinente indiano. Se oggi si sta diffondendo in altri paesi, è per lo più grazie all’immigrazione. Ma, dopo tanti secoli di vita pacifica fra queste due religioni, negli ultimi anni si sono verificate alcune gravi tensioni, in particolare per via del fondamentalismo indù che accusa i cristiani di proselitismo. Se da un lato tale atteggiamento pare andare contro la libertà religiosa, dall’altro non si può negare che esso affondi le sue radici in conversioni spesso imposte dai colonizzatori nei secoli scorsi. Gli anni dopo il Vaticano II hanno visto fiorire svariati tentativi di una maggiore conoscenza e di un avvicinamento da parte della Chiesa cattolica verso una religione che, sia pure fondamentalmente tollerante, sembra aver mantenuto le sue distanze dalla rivelazione cristiana. Professori ma non solo È in questa prospettiva che si possono leggere i sei giorni trascorsi da una sessantina di persone appartenenti alle due religioni presso il Centro Mariapoli di Castelgandolfo. Si sono dati appuntamento per approfondire il rapporto con Dio nella tradizione cristiana e in quella indù. Il simposio è frutto di un rapporto intenso che si è stabilito negli ultimi anni tra membri del Movimento dei focolari e seguaci della tradizione indù in diverse parti del sub-continente indiano. Decisiva poi era stata la visita in India di Chiara Lubich nel gennaio del 2001. In quell’occasione sia a Coimbatore – dove era stata insignita del premio “Difensore della Pace 2001” -, che a Mumbai – dove era stata invitata a parlare a 700 persone in un grande campus universitario -, si erano aperte strade per un promettente dialogo sia con seguaci del pensiero e dell’etica gandhiana, al Sud, che con educatori e intellettuali a Mumbai. Successivamente, frequenti incontri fra questi gruppi hanno evidenziato punti comuni. Da qui era poi nata da Chiara Lubich e dalla professoressa Kala Acharya di Mumbai l’idea di un simposio, dove ci si potesse conoscere meglio nelle rispettive tradizioni e modi di esprimere la propria fede in una vera fraternità. Nei mesi precedenti si era lavorato a lungo. A Mumbai ci si era incontrati per riuscire a capire insieme che cosa poter offrire ai cristiani. La provenienza caleidoscopica dei vari partecipanti pareva essere un ostacolo a un lavoro armonico e unitario. Eppure, nei vari incontri si è potuta stabilire una profonda comunione fra rappresentanti della tradizione vedica e di quella gandhiana, e fra correnti diverse espresse dalle varie istituzioni accademiche rappresentate. Si andava, infatti, dalla facoltà di filosofia dell’Università di Bombay al Somaya Sanskriti Peetham, già da un decennio molto attivo sul palcoscenico del dialogo con la Chiesa cattolica; dal Bharathya Vidhya Bhavan, che si propone di presentare e preservare il messaggio dell’induismo classico sia in India che all’estero, all’esperienza gandhiana della Gandhigram University e dello Shanti Ashram dello stato del Tamil Nadu. Alla diversificazione culturale, si aggiungeva quella geografica, che in India significa anche diversità di scuole, tradizioni e approccio alla vita. Da parte cristiana era presente invece un gruppo di studiosi del Movimento dei focolari – la cosiddetta Scuola Abbà – che da anni, insieme a Chiara Lubich, cercano di approfondire la valenza della spiritualità di comunione, caratteristica del carisma dell’unità, nei diversi ambiti del pensiero. È un gruppo di 25 persone che stanno vivendo un originale modo di pensare e produrre cultura: ognuno nel suo ambito, ma come frutto di una forte esperienza di comunione. Bhakti Ed eccoci quindi al 14 giugno. All’ingresso del Centro Mariapoli campeggia un titolo insolito: “Bhakti, la via dell’amore. L’unione con Dio e la fraternità universale nell’induismo e nel cristianesimo”. “Bhakti”, parola chiave dell’incontro, significa nella tradizione indù l’atteggiamento d’amore che il fedele nutre verso Dio e che esprime in una miriade di modi: devozione filiale, visite a templi, pellegrinaggi alle città e luoghi sacri, riti, canti e danze, preghiere o meditazione. Il “Bhakti” è la via verso Dio più semplice, alla portata d’ogni uomo e donna. Accanto ad essa, ci sono altre due strade che l’induismo classico propone: il “Karmayoga”, fondato sulla prassi, che invita il fedele a compiere buone azioni per acquistare meriti per la prossima vita; e lo “Jnanayoga”, che porta alla conoscenza vera del sé e di Dio che nello stadio più alto, per un indù, s’identificano. Al di là della novità dell’argomento e dell’avvenimento in sé, nei partecipanti è emersa fin dall’inizio la sensazione di una “presenza divina” che ha guidato con mano invisibile ma tangibile i lavori. Chiara Lubich ha espresso tutto ciò a nome dei presenti nell’esordito: “Siamo qui per qualcosa di nuovo; stiamo infatti cominciando un cammino. Nuovi orizzonti si apriranno se Dio sarà presente fra noi”. A ben guardare, proprio in questa presenza si trova lo specifico del simposio: non tanto il discutere o il filosofare, non solo le disquisizioni accademiche o le presentazioni ricercate, ma piuttosto il vivere insieme ascoltando l’altro, interessandosi a lui, alla sua tradizione, chiedendo con prudenza e gentilezza per conoscere di più e quindi valorizzare tal o talaltro punto di una esposizione. Da quest’atteggiamento di base è nata una fraternità vera, che gli indù hanno spesso espresso con il termine di holy vibration (sante vibrazioni), a significare il loro avvertire una speciale presenza soprannaturale. Da parte cristiana c’era la coscienza di quanto fosse vera la promessa delle nostre scritture: “Dov’è la carità, lì è Dio”. Si sono presentate e approfondite le rispettive tradizioni sull’amore come strada verso Dio. Ha cominciato la stessa Lubich che, nel quadro della tradizione bimillenaria del cristianesimo, ha introdotto i presenti al rapporto con Dio dal punto di vista di una spiritualità comunitaria: un rapporto che si può costruire nella vita quotidiana. Le ha fatto eco la professoressa Kala Acharya che, riprendendo l’esposizione della Lubich, ha sottolineato passo passo quanto l’induismo contenga elementi simili. Nei giorni successivi, si sono alternate presentazioni speculari, che hanno aiutato i presenti ad approfondire l’argomento nella storia della chiesa ed in quella dell’induismo, nei rispettivi testi sacri, nella vita di Maria come pure delle sante di tradizione indù, nel mistero del dolore, sconfinando poi nelle conseguenze a diversi livelli: artistico, sociale, economico e politico. Non sono ovviamente mancati i momenti in cui sono emerse le differenze tra cristianesimo e induismo, di percezione e di sensibilità, oltre che concettuali. Nessuno, in effetti, desiderava cancellarle, nessuno voleva arrivare a facili sincretismi. Le varie presentazioni hanno inoltre evidenziato i diversi accenti presenti all’interno delle varie tradizioni indù, che portano a costituire correnti a volte addirittura contraddittorie, ma tutte contenute sempre sotto il grande ombrello di questa religione unica nella sua capacità millenaria d’amalgamare modi di vivere e di pensare, teorie e fedi. Una nuova via A proposito delle differenze, è stato molto chiarificante e apprezzato, l’apporto di mons. Felix Machado, del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, che, tracciando la storia e l’evolversi del contatto fra le due religioni, ha sottolineato con chiarezza quanto le diversità non possano essere appianate con concetti che rischiano di sconfinare in un sincretismo che non giova a nessuno. Questa, infatti, è stata la nota più consolante di questi giorni. Nessuno ha cercato di annacquare la propria fede per trovare punti di contatto. Si è rimasti fedeli alle proprie tradizioni, ma in uno spirito di comunione nel quale la diversità non solo era accettata ma anche apprezzata perché patrimonio comune. Come sia stata possibile tutto ciò è difficile a dirsi. Si è trattato in effetti di un’esperienza di fraternità universale con una forte valenza culturale e religiosa. Ma un’intuizione della professoressa Kala Acharya può dare un’interessante chiave di lettura: “Nell’induismo abbiamo tre vie per arrivare a Dio: il “Bhaktiyoga” ci fa pregare, il “Karmayoga” ci fa agire, lo “Jnanayoga” ci fa pensare e meditare per arrivare a conoscere sé e Dio. Chiara Lubich ci propone una quarta via, il “Premyoga”, la via dell’amore al fratello e fra di noi”. È stato proprio in questo spirito del prem (amore) che si è potuto spiegare un mistero come quello dell’abbandono di Gesù sulla croce; oppure che si è potuto ascoltare la pratica quotidiana di un indù fedele e osservante che cura la divinità della sua famiglia nei vari momenti della giornata. È ancora stato quest’atteggiamento dettato dal “Premyoga” a indicare forse una via alternativa a questo dialogo, facendo esclamare uno dei presenti: “Ho partecipato a vari seminari di dialogo interreligioso e interculturale. Lì si discuteva di come fare per dialogare. Qui si dialoga”. Molto significativa la frase con cui il prof. Upadhyaya ha voluto ringraziare tutti i partecipanti al simposio a nome della delegazione indù: “Non posso promettervi di ricordarmi di voi. Si ricordano, infatti, persone, cose oppure luoghi ed avvenimenti che si dimenticano. Io non potrò più dimenticare nessuno di voi perché ciascuno è ora dentro di me”. CARD. DIAS “UNITÀ NELLA DIVERSITÀ” Al simposio di Catselgandolfo è intervenuto anche il cardinale di Bombay, arcivescovo Ivan Dias. Al termine della sua visita, abbiamo raccolto questa sua impressione nel corso di una lunga intervista sulla chiesa in India che pubblicheremo prossimamente. Apprezzo moltissimo il modo di dialogare dei Focolari. Conosco il movimento da molti anni, e così posso ringraziare il Signore di questo carisma che egli ha sparso attraverso Chiara e i Focolari in tutto il mondo, perché oggi più che mai l’umanità ha bisogno di questo spirito che vuol dire “unità nella diversità”. Qualcosa di tipico per noi cristiani, perché il mistero della Trinità lo manifesta: in Gesù, ad esempio, c’è l’unità di persona nella diversità di natura. Quando questo carisma – che porta naturalmente alla grande paternità di Dio – si spargerà ancor più nel mondo, la società capirà che l’unità nella diversità (non la divisione, sia beninteso) rende la nostra esistenza più bella, più utile e meno rischiosa, se paragonata alle battaglie e agli scontri tra religioni. Insomma, quello del focolare è un carisma che il Signore ha suscitato attraverso Chiara e che si sta spargendo anche attraverso altri movimenti. Si sta diffondendo dai bambini fino ai grandi, nelle più varie regioni del mondo, e si applica non solo ai cristiani. Il carisma trova riscontro nella proclamazione dell’unità nella diversità, che il papa adesso ha chiamato “spiritualità di comunione”.