Premio Pavoncella 2022, donne che alimentano la speranza

All’inizio della stagione estiva, sullo sfondo delle dune di Sabaudia, si è svolta la XI edizione del «Premio Pavoncella alla creatività femminile». Ideato da Francesca D’Oriano, presidente dell’Associazione culturale no-profit «ArteOltre», è un omaggio all'importante ruolo che la donna svolge nella società.
Madre Rosa Lupoli, vincitrice del Premio Pavoncella 2022.

Tra le donne premiate quest’anno, Madre Rosa Lupoli, Abbadessa delle Clarisse Cappuccine del Monastero Santa Maria in Gerusalemme di Napoli, detto «delle Trentatrè». L’abbiamo intervistata.

Madre Lupoli, si aspettava questo riconoscimento? Qual è stata la sua esperienza?
Mi è piaciuto moltissimo perché ho conosciuto donne eccezionali di cui non si parla, donne impegnate ad alti livelli, come Maria Bianca Farina, Presidente del Consiglio di amministrazione di Poste italiane e Maria Rosa Capobianchi che, con la sua équipe, ha isolato la sequenza del Covid-19. Quello che mi è piaciuto è stato che, nello spazio di una serata, il Premio ha dato luce e voce a donne che fanno cose importantissime. La cosa bella è stata che tutte hanno detto che per le donne è fondamentale lavorare in team. Tutte hanno ringraziato le squadre, i collaboratori con i quali hanno portato avanti i loro progetti. Nessuna ha detto «io», mi è piaciuta questa capacità di collaborazione e anche il fatto che abbiano detto che fare una cosa bella non è mai solo per sé stessi, ma è sempre a favore della società, per il bene di altre persone. Sono due caratteristiche molto femminili. Sono stata sorpresa di ricevere il Premio, ma poi sono stata molto contenta di essere lì e di avere conosciuto queste donne speciali.

La motivazione del suo Premio è: «per essere riuscita a ricostruire l’ex refettorio del monastero, facendone un luogo di cultura e socialità aperto alla cittadinanza». Ci può parlare del progetto?
A Napoli siamo l’unico monastero del ‘500 sopravvissuto alle soppressioni avvenute alla fine dell’800. Abbiamo fatto una battaglia durata 25 anni per riappropriarci del chiostro che ci era stato tolto, passato in varie mani, ricostruito come centro antitubercolare che ha funzionato fino agli anni ’70 e poi completamente abbandonato. Nessuno ce lo voleva cedere, poi le persone ci hanno conosciuto e stimato e hanno messo in moto la pratica. Nel 2004 siamo riuscite ad ottenerlo in comodato d’uso, nel 2007 abbiamo iniziato i lavori grazie a un finanziamento europeo e nel 2009 li abbiamo conclusi.

Abbiamo dovuto riconsiderare l’uso di questi spazi perché sono talmente grandi e noi siamo appena in otto. Inoltre, nel tempo è cambiata anche la percezione della città, i rapporti con le persone: nel 1997 questa zona era impraticabile, i luoghi da visitare erano tutti chiusi. Oggi invece è visitata da milioni di persone. Allora, abbiamo pensato di farne una sala per incontri religiosi ma, essendo una zona a traffico limitato, non raggiungibile con le macchine, le persone venivano ma non nella misura che pensavo. Invece, ci sono arrivate richieste per incontri culturali, presentazioni di libri, concerti.

Come gestite questi spazi?
Quando abbiamo avuto la sala, già nel 2009 abbiamo cominciato a fare qualcosa. Nel 2014 abbiamo costituito un’Associazione, l’«Atrio delle Trentatrè», di cui sono membro, che poteva mediare meglio i rapporti con l’esterno. C’è un Presidente che è un laico, Francesco Galluccio, che propone le iniziative, ad esempio abbiamo partecipato a Piano City, che si fa a marzo, dove si suona il piano dappertutto; per alcuni anni abbiamo fatto l’edizione l’Altra Galassia di Valeria Parrella.

Cosa ha detto quando le hanno consegnato il Premio?
Nel 2018, senza nessun nostro interessamento, abbiamo avuto un nuovo finanziamento dalla regione perché all’epoca ci avevano dato solo una trance di quello che avevamo chiesto e ci sono arrivati altri fondi. L’abbiamo visto davvero come un intervento dall’alto e per l’anno prossimo cercheremo di completare il lavoro. C’è un muro che ci separa ancora da questa zona e il nostro desiderio è di abbattere questo muro perché ci sono documenti scritti nei quali si diceva che si alzava il muro per togliere alle monache l’aria, il sole e la luce. Vorremmo che ci fosse un segno abbattendo questo muro. Ho detto che questo progetto si sarebbe completato perché non ci saremmo arrese fino all’abbattimento del muro. Quello che era veramente un sogno, avere i fondi regionali, è arrivato come un dono dall’alto e ci tengo a dire che è stata una donna che si è ricordata del nostro progetto e ci ha inserite nella lista e che la responsabile del progetto sarà una donna.

Le persone che partecipano alle iniziative entrano in contatto con voi?
L’associazione fa anche visite guidate ogni sabato e domenica dell’anno e partecipano centinaia di persone. Poi tanti tornano per avere contatti con noi, ci sono quelli che da turisti si trasformano in «cercatori di senso». Francesco Galluccio fa fare la visita, parla della storia, della fondatrice Maria Lorenza Longo che è stata beatificata ad ottobre 2021, fa il giro dei luoghi che si possono visitare perché non sono di clausura stretta e, quando arriva alla ruota, rivela: «qui dietro ci sono le suore». Poi dà un foglietto alle persone dicendo: «se volete fare richiesta di preghiere, le sorelle sono qui per pregare per le vostre intenzioni».

Cosa succede, allora?
I turisti, che fino a quel momento hanno partecipato come se se si trattasse di una visita a un museo, scoprono che è un luogo vivo. Non c’è nessuno che non scriva anche un pensiero. Mi è rimasto impresso un signore che ha scritto: «io non ci credo però, se è vero, fate una preghiera per me». Altri dicono: «non entravo in una chiesa da anni»; «sono ritornato un attimo bambino quando mia mamma mi portava in chiesa». È una storia che risveglia sentimenti profondi, ci raccontano anche di dolori grandi. Vengono a fare una visita turistica poi, a contatto con l’Eterno, emergono le loro storie e i loro dolori e sentono di affidarli a noi.

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