Il premier indiano Modi negli Usa
Nei giorni scorsi, Narendra Modi ha visitato il Nord America come primo ministro dell’Unione indiana, ricevendo un benvenuto a cinque stelle. E questo nonostante alcuni membri dell’Amministrazione statunitense si siano apertamente dissociati dal benvenuto politico, assai interessato, che il presidente Biden e l’Amministrazione democratica hanno riservato al primo ministro indiano estendendolo alla sua numerosa delegazione. Due deputate musulmane del Congresso degli Stati Uniti e altri legislatori progressisti hanno boicottato il discorso di Modi al Parlamento, a causa del crescente nazionalismo indù, di cui Modi è protagonista da quando è al governo.
Tale atteggiamento è palese nei confronti di tutte le minoranze religiose e sociali (dalit e adivasi, popolazioni tribali) ma soprattutto nei confronti della popolazione musulmana che è sempre più discriminata in India. Tuttavia, da più parti, si lamenta anche la repressione della libertà di stampa, che non ammette critiche all’attuale governo, pena arresti, violenze ed assalti indiscriminati a giornalisti e operatori dei media. Per tutta risposta, con la retorica estremamente efficace che distingue il suo personaggio politico, durante una conferenza stampa in cui gli è stato chiesto quali fossero le misure adottate e progettate per «migliorare i diritti dei musulmani e per sostenere la libertà di parola», il premier indiano ha risposto affermando con sicurezza che nel suo Paese non c’è bisogno di miglioramenti, in quanto «non c’è spazio per alcun tipo di discriminazione».
La visita è destinata, ovviamente, a suscitare polemiche ma fa parte dell’abile strategia del partito di Modi, il Bharatya Janata Party, che ormai governa in modo spregiudicato (da anni senza opposizione convinta e capace) l’immenso Paese asiatico. Questo rende necessario leggere questa visita, e quanto emerso da essa, in un’ottica ben più complessa, geopolitica ed asiatica. Come fanno notare alcuni attenti osservatori, la visita di Modi negli Usa non può essere dissociata dal decrescente peso sulla scacchiera internazionale della Russia, a cui l’India è da sempre legata – fin dai tempi del pandit Nehru –, pur essendo stata protagonista della fondazione dei Paesi non-Allineati, durante la Guerra Fredda. Oggi, con la drammatica guerra all’Ucraina e l’umiliante risultato di un’invasione che era stata annunciata come “fulminante”, la Russia non rappresenta più un partner credibile per alleati come l’India, che pure, alle Nazioni unite, non ha mai votato nessuna risoluzione contro l’invasione di Mosca. Pur essendo rimasto sempre dalla parte degli astenuti, Modi aveva ricordato a Putin che questo non è il momento di fare guerre.
Ed ora, mentre si trova alla presidenza del G20, Modi ha piazzato una mossa significativa: recarsi a Washington per non perdere una rara opportunità di crescita economica e politica in un momento storico delicatissimo e, soprattutto, dopo la rovinosa pandemia. In altri termini, l’India si rivolge verso gli Usa sia per accreditarsi come vera potenza mondiale sia, al tempo stesso, per battere la concorrenza cinese, dopo aver superato il dragone a livello di popolazione. Non deve sfuggire che alcuni giorni prima della visita, definita storica dalla ridondante retorica dell’amministrazione Modi, il governo di Delhi aveva approvato un piano da 2,75 miliardi di dollari per la costruzione di una nuova struttura di collaudo e assemblaggio di semiconduttori prodotti dall’azienda statunitense Micron Technology, che è pronta ad investire oltre 800 milioni di dollari nel progetto. Tra l’altro, l’impianto – e non è un caso – sorgerà nello Stato natale di Modi, il Gujarat. Si tratta di una struttura che non provvederà, almeno per il momento, alla produzione dei chip, che saranno solo testati e distribuiti. Tuttavia, l’accordo è significativo per le relazioni tra Stati Uniti e India. L’amministrazione Usa sta cercando di ridurre i rischi di una dipendenza delle aziende asiatiche dalla Cina. Da parte sua, Modi che pure si trova in concorrenza con Pechino per il controllo militare ed economico in Asia, esce da questo accordo con l’immagine di un abile conduttore di affari nei complessi equilibri economico-politici del mondo attuale.
L’India, uno dei Paesi maggiormente colpiti dalla pandemia di Covid, esce infatti da questi anni difficili come la vera alternativa alla Cina, soprattutto nel mondo della produzione di chip, ambito decisivo negli anni presenti e futuri per coloro che puntano a controllare l’economia mondiale. Si dice che, oltre a Micron Technology, anche la società Applied Materials, che fornisce apparecchiature e software per la produzione di chip e altri materiali per l’elettronica, abbia annunciato la creazione di un nuovo centro (da 400 milioni di dollari) per la commercializzazione e l’innovazione dei semiconduttori, mentre Lam Research, altra azienda del settore, avrebbe in mente di attuare un programma di formazione che coinvolgerebbe 60mila ingegneri indiani.
Infine, non dimentichiamo che, a differenza di altre volte, quando in occasione dei suoi viaggi negli Usa il premier indiano incontrava soprattutto industriali e uomini d’affari indiani per assicurarsi i loro reinvestimenti in India, questa volta, al suo arrivo a New York, Modi ha incontrato il multimiliardario Elon Musk, amministratore delegato di Tesla e SpaceX. Il comunicato del magnate, al termine dell’incontro, parla chiaro sulle prospettive: «Sono fiducioso che Tesla sarà in India e lo faremo non appena umanamente possibile. […] Ho intenzione di visitare l’India l’anno prossimo. Vorrei ringraziare il primo ministro Modi per il suo supporto e, si spera, saremo in grado di annunciare qualcosa in futuro. È molto probabile che ci sarà un investimento significativo in India». Si tratta di dichiarazioni importanti, che evidenziano come le due parti abbiano ampiamente superato le tensioni che, nel 2022, avevano portato l’azienda produttrice di veicoli elettrici a trasferire la propria produzione dall’India al Medio Oriente.
Ma gli accordi siglati in questi giorni tra Washington e Delhi sono molteplici e riguardano anche la difesa; non solo allo scopo di impedire un accrescimento di potenza della Cina nell’Indo-Pacifico, ma anche nel tentativo di ridurre la dipendenza dell’India dalla Russia per la fornitura di armi.
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