Pregare per il Libano serve?

Il 4 settembre, a un mese esatto dall'incredibile esplosione di Beirut, in Libano, papa Bergoglio invita a una giornata di digiuno e raccoglimento per il Paese dei cedri. Qualcosa si muove anche nello scenario politico

«Nemmeno il Signore Iddio ormai può far qualcosa per il nostro Libano», mi dice un imprenditore dei dintorni di Beirut che nell’esplosione del 4 agosto nel porto della città ha perso quel che restava della sua attività nel commercio di alimentari e lui stesso è rimasto ferito. È questo il sentimento di sfiducia che alberga nel cuore di non pochi libanesi onesti, la stragrande maggioranza della popolazione, ancora tramortiti dalla tremenda esplosione del 4 agosto scorso, un mese fa, che, lo ricordiamo, ha fatto circa 200 morti e 6.500 feriti, mentre si calcolano in 600 le case distrutte e in 3 mila quelle danneggiate gravemente.

Un episodio che rimane avvolto nella vaghezza colpevole in cui il Libano è da tanti anni coinvolto. Non si saprà mai, cioè, che cosa è veramente successo pochi minuti dopo le 18 del 4 agosto 2020. Il presidente Aoun ha impedito ogni indagine indipendente, il potere vuole mettere prima possibile una pietra sopra un episodio indecoroso, direi indecente, della storia libanese: se fosse stata incuria, tutti gli organi dello Stato avrebbero dovuto dimettersi immediatamente, a cominciare dal presidente della Repubblica e indire nuove elezioni; se fosse stato un attentato, ebbene, si sarebbe dovuto avere il coraggio di denunciare i fatti. Ma nulla è stato fatto trapelare, persino i tracciati dei sorvoli della zona nel momento dell’attentato non si trovano. Misteri libanesi.

(AP Photo/Hussein Malla)
(AP Photo/Hussein Malla)

Nel frattempo qualcosa è tuttavia successo: il presidente francese Macron è sceso due volte a Beirut, forte del sostegno dei partner europei, in particolare della Merkel, e pure di Washington, come ha confermato il segretario di Stato Pompeo il 2 settembre. Che cosa ha detto Macron a Michel Aoun, a Nabih Berri, ai politici libanesi? Il tempo è scaduto: o fate rapidamente un governo come richiesto dalla thauora, la rivoluzione iniziata il 17 ottobre, cioè un governo di tecnici a programma e nuove elezioni a breve, oppure saranno dolori. Quali? Secondo Le Figaro, ma pure secondo altri organi di stampa ed osservatori, Macron avrebbe fatto intendere che se non ci si muove rapidamente verranno attivate delle sanzioni ad personam con blocco dei conti bancari e delle proprietà dei principali politici libanesi in Francia e nel mondo.

La vox populi dà delle cifre precise sulle ruberie della classe politica al potere e del 5-7 per cento della popolazione che ne beneficia, ma è difficile scriverle in un articolo documentato. In ogni caso la corruzione ha reso miliardari (in dollari, non in lire libanesi) parecchie persone. Inoltre Macron avrebbe minacciato di bloccare ogni aiuto al Paese in caso di tergiversazioni ulteriori nel risanamento del Paese, il che vorrebbe dire penuria grave di elettricità, di connessione, di gas e petrolio, persino di alimentari.

Aoun, Berri, Bassil, Hariri e gli altri debbono aver preso paura, perché c’è stato il miracolo di una nomina-lampo del nuovo primo ministro incaricato, che come si sa deve essere un sunnita, che corrisponde al nome dell’ambasciatore in Germania Mustapha Adib, 48 anni. Il quale nell’accettare l’incarico si è impegnato a formare «in tempi brevi» (due settimane s’è concordato con Macron, tempi strettissimi per il Libano) un governo di «esperti» con una missione «riformatrice» (come richiesto dalla rivoluzione). Il suo nome è quello che ha ricevuto il più alto numero di consensi durante le “consultazioni obbligatorie” del capo dello Stato Michel Aoun.

Come il suo predecessore, Diab, anche Adib (guarda caso i due nomi sono anagrammatici!) non è figura di primo piano, e non sembra proprio avere la forza di resistere alle pressioni dei leader politici più influenti (Diab è stato sommerso dai veti incrociati dei “padrini” politici) soprattutto nella scelta dei nomi degli “esperti” che comporranno la squadra ministeriale. Ma dopo il 4 agosto qualcosa è cambiato, e avere “l’investitura” di Macron e Merkel non è cosa da poco. Questa è la speranza di tanti libanesi, anche se la maggioranza della popolazione, va detto, resta estremamente scettica sulla possibilità di dare una sterzata alla deriva pubblica che da qualche anno colpisce il Paese.

Gli stessi sciiti di Hezbollah appaiono più disponibili del solito, anche perché le cose non vanno bene nemmeno a casa loro, con i “padrini” dell’Iran sempre più deboli, con una base popolare libanese tentata di abbandonare i corrotti sunniti e cristiani, con una pressione internazionale sempre più forte (vedi il recente divieto ad Hezbollah di svolgere attività in Germania), con nuove tensioni alla frontiera con Israele. Qualcuno parla di nuovo di una svolta importante, che forse risulterebbe decisiva, nella politica libanese, con l’ingresso delle milizie di Hezbollah nell’esercito regolare libanese.

In questo contesto papa Francesco ha invitato per il 4 settembre, a un mese dall’esplosione, i fedeli del mondo intero e tutti gli uomini di buona volontà a pregare o a raccogliersi in ricordo delle vittime del 4 agosto. Ha detto Bergoglio: «Di fronte ai ripetuti drammi che ciascuno degli abitanti di questa terra conosce, noi prendiamo coscienza dell’estremo pericolo che minaccia l’esistenza stessa del Paese. Il Libano non può essere abbandonato nella sua solitudine».

E ancora: «È profondamente vera l’affermazione che il Libano rappresenta qualcosa di più di uno Stato: il Libano è un messaggio di libertà, è un esempio di pluralismo tanto per l’Oriente quanto per l’Occidente. Per il bene stesso del Paese, ma anche del mondo, non possiamo permettere che questo patrimonio vada disperso». Quindi l’appello per una nuova speranza: «Riprendete coraggio, fratelli! La fede e la preghiera, siano la vostra forza. Non abbandonate le vostre case e la vostra eredità, non fate cadere il sogno di quelli che hanno creduto nell’avvenire di un Paese bello e prospero».

E l’invito per «una giornata universale di preghiera e digiuno per il Libano», accompagnata dalla visita del card. Parolin. Una richiesta universale: «Invito anche i fratelli e le sorelle di altre confessioni e tradizioni religiose ad associarsi a questa iniziativa nelle modalità che riterranno più opportune, ma tutti insieme».

«Serve pregare per il Libano? – si chiede ancora l’amico imprenditore –. Non ci resta altro da fare, e male non può fare. La speranza nasce da Dio, ma anche dall’aiuto che i popoli europei concretamente sapranno darci. Da soli non riusciremo a uscire dalla crisi attuale».

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