Precarietà e magnitudo 9

Un dialogo via social network sul crollo delle certezze provocato dal recente, lunghissimo e reiterato sisma nell'Italia centrale. Il commento di Alberto Barlocci
terremoto

Ho scritto ieri su Facebook, subito dopo la forte scossa di terremoto delle 7.41: «Nuova scossa di terremoto. Più forte delle precedenti. Bisogna abituarsi a convivere con la propria precarietà, "in tutti i sensi" come mi scrive un'amica. Nella vita cerchiamo sempre delle certezze, anche nella fede. Ma la fede, in particolare quella per me "vera", quella del Vangelo, ci dà solo una certezza: che su questa terra non ci sono certezze. Il Dio dell'incertezza, Colui che ha dubitato di Dio stesso, è il vero conforto. È un orizzonte».

 

Alfredo Carli, un "amico" mi ha risposto così: «No Michele, permettimi, non credo che bisogna abituarsi alla precarietà. A quella sociale, lavorativa o affettiva. E neanche per le sciagure naturali. Come per i terremoti. Ci sono le premesse per costruire edifici antisismici, mettere in sicurezza i territori, evitare di dover elemosinare soldi alla Ue, riprendendoci la sovranità politica e monetaria. Questo è agire, non una passiva accettazione del fato. Seguire Dio, pregare è altra cosa».

 

Mi è venuto in soccorso l'amico e collega Alberto Barocci, che vive in Cile, una persona abituata ai terremoti di magnitudo 8, devastanti. Scrive: «Non sono certo io a dover spiegare ció che dice Michele, sa farlo perfettamente da solo. Ma mi pare di cogliere, caro Alfredo, e lo dico senza animo polemico, un senso diverso nelle sue parole. La precarietà di cui parla non è quella della scarsezza delle risorse, la capacità di prevedere sciagure, il lavoro o altro, ma quella della condizione umana. Vivo in un Paese (il Cile) sottomesso a una natura spesso ostile, dove ti salvi dal terremoto, ma magari non scappi dallo tsunami. L'anno scorso dopo la scossa di 8,4 gradi ci hanno detto preparatevi perché ne viene una più forte. Lo sciame sismico è durato 4 mesi. La scossa non è venuta, ma cosa potevamo fare? Si è costruito in senso antisismico, si è fatto il possibile, ma se la scossa è di 9 gradi, come ci avevano annunciato, avremmo dovuto sloggiare a quota 300 metri per fronteggiare lo tsunami di una scossa del genere e questo spazio in città non esiste. Abbiamo vissuto in questa precarietà, cercando ogni notte di capire se quella scossetta era o no il prodromo di un evento immane. Certo, in Italia va protetto tutto ciò che è stato costruito e trovate soluzioni per convivere in questo contesto. Ma se domani esplode la caldera del Vesuvio (l'Italia è a rischio sismico e vulcanico) gli studi condotti dagli osservatorio geologici regionali campani indicano che i danni provocherebbero vittime anche a Roma. La precarietà è questa. Conviviamo con la natura ed essa è imprevedibile. Ciò non ha niente a che fare col fato, o col far male le cose. Va fatto tutto, e bene, tutto quanto è in nostro potere. Dopodiché… vivremo nella precarietà e nell'incertezza determinata da una nuova… fase solare. È il mondo nel quale viviamo ad essere precario. Ed etimologicamente viene dal latino preces (orazione)».

 

Ho brevemente commentato così: «Mi ritrovo perfettamente in quanto dice Alberto. La precarietà c'è anche nelle società più previdenti. Perché è precaria la natura umana. Ciò non ci esime minimamente dal mettere in sicurezza tutto quel che si può».

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