Prato, comunità educante
Già nel novembre 2015, papa Francesco, nella sua breve ma intensa visita pastorale a Prato, ebbe parole forti nei confronti della nostra polis, di cui mostrò di conoscere la complessità: lanciò la sfida, allora molto originale, dei patti di prossimità, quale risposta alle difficili situazioni di convivenza, che la nostra città, terza del centro Italia per numero di abitanti, presenta: 124 etnie registrate, un quinto della popolazione di origine cinese, necessità di integrazione in tutti gli ambiti. In campo educativo, la pandemia ha aggravato una situazione già molto difficile: nel 2016 il livello di abbandono scolastico si attestava a Prato al 18%; nell’anno scolastico 2019-20, si rilevava una percentuale di ritardo scolastico del 13,91% per la secondaria di primo grado (media regionale 8,20) e del 27,38% nella secondaria di secondo grado (media regionale 22,68). La situazione si è aggravata con la pandemia e la postpandemia; i fallimenti scolastici e l’abbandono degli studi sono soltanto la punta dell’iceberg, il finale negativo di un percorso che trae origine da iter non inclusivi, da povertà educativa, dal conseguente ritiro sociale (abbandono esperienze extrascolastiche quali musica, sport, relazioni amicali e sociali), con fenomeni di psicopatologie, a partire dai disturbi di ansia e attacchi di panico (i dati riportati sono tratti dal sito della Fondazione Cassa di Risparmio di Prato).
I piani scuola Miur 2020/21 e 2021/22 riguardanti i “patti di comunità” in ambito educativo, si muovono in questa logica; la sottoscritta, quale consigliera comunale, li ha voluti valorizzare subito con la mozione del giugno 2021, approvata dal consiglio. Il bando promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Prato nel marzo scorso dal titolo “Prato, comunità educante”, con un premio in denaro di 100 mila euro, risponde in pieno a queste sfide. Risultano vincitrici due “cordate” di associazioni, che hanno trovato la giusta sinergia per presentare un progetto comune: “imPATTI creATTIVI” e “TRA-GUARDI-AMO” riecheggiano già nei titoli l’unità di intenti raggiunta fra le 30 associazioni del terzo settore, istituzioni pubbliche e scuole del territorio, per rispondere insieme ai bisogni formativi ed educativi della città, resi più acuti dalla pandemia e dalla postpandemia.
Rivolgiamo alcune domande a Diana Toccafondi, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Prato, ideatrice del bando.
Perché la Fondazione, da sempre presente per i bisogni della città, ha deciso di investire in campo educativo/formativo?
È un percorso di crescita e consapevolezza che la Fondazione ha fatto negli ultimi anni. Ci siamo interrogati sul nostro ruolo nei confronti della città, che non poteva essere solo di erogazione di contributi ma doveva essere di partecipazione attiva alle trasformazioni in corso, di accompagnamento consapevole alle necessità e alle fragilità del nostro tessuto sociale. Ed è emerso subito che il problema più urgente era quello della dispersione scolastica e della povertà educativa. Si tratta di un problema non solo di competenze scolastiche ma di cultura in senso ampio, quella che consente ad ogni persona di essere un cittadino che partecipa alla vita della comunità.
Si legge nel vostro sito: “La scuola fa già molto. Non può fare tutto”. Vi riferite al principio di sussidiarietà, valorizzato dalla nostra Costituzione all’art.118, e ripresentato nella proposta dei “patti di comunità” dei piani scuola del Miur 20/21 e 21/22?
Sì, certamente, ma non solo. Ci riferiamo al fatto che, al di là delle diverse competenze stabilite dalla legge, esiste una responsabilità diffusa che coinvolge tutte le componenti della società, da quelle istituzionali, all’associazionismo, alle famiglie, agli enti culturali, ai soggetti privati come appunto le Fondazioni di origine bancaria. Una responsabilità per cui occorre farsi carico, tutti insieme, dei problemi e cercare soluzioni innovative, partecipate, non chiuse in logiche burocratiche ed egoistiche. I “patti di comunità” sono questo: ecco perché il progetto l’abbiamo chiamato “Prato, comunità educante”, perché fosse chiaro che tutta la comunità faceva suo il problema delle nuove generazioni, ognuno secondo le modalità che riteneva più adeguate e mettendo al servizio di questo intento comune le sue capacità. Negli ultimi anni si è finito per addossare alla scuola tutte le responsabilità educative, spesso lasciandola sola e isolata dall’ambiente circostante. È arrivato il momento di percepirsi, anche rispetto al problema educativo, come una unica “comunità d’intenti”, partendo dai soggetti che stanno intorno alla scuola. Il bando infatti era rivolto prima di tutto al terzo settore, invitandolo a coinvolgere le scuole in azioni di partneriato comune.
Perché favorire le “reti educative”? In quante hanno partecipato? Quali enti ne fanno parte?
L’espressione “rete educativa” fa riferimento proprio a quel tessuto variegato di soggetti che popolano i nostri territori, con vocazioni e missioni diverse, ma spesso animati da una comune volontà di seminare contenuti positivi e sollecitare la partecipazione attiva delle persone. Abbiamo ritenuto che uno dei ruoli della Fondazione fosse quello di mettere a disposizione risorse legandole alla capacità dei fruitori di collaborare fra loro, di fare rete. Spesso questo mondo soffre di una polverizzazione che ne impoverisce l’azione e disperde le risorse. Dobbiamo uscire da queste logiche: un nuovo metodo di lavoro, più collaborativo, è parte essenziale dell’aspetto educativo, perché apre le menti e i cuori alla bellezza della conoscenza reciproca. C’è stata subito una risposta importante: hanno partecipato più di 30 soggetti, fra associazioni, enti culturali, istituzioni, scuole.
Perché la richiesta di un patto comune fra le due cordate vincitrici del bando?
Le due cordate hanno prodotto due progetti molto interessanti, che sviluppano aspetti complementari del problema: da una parte quello della partecipazione dei giovani e delle scuole coinvolte alla produzione di contenuti culturali promossi dai maggiori enti culturali cittadini, con l’appoggio del Comune di Prato; dall’altro l’intervento mirato su situazioni conclamate di povertà educativa, con il coinvolgimento delle scuole dove questo fenomeno risulta più marcato, delle famiglie e delle associazioni che da anni si occupano di questo problema. Ci è sembrato che questa complementarietà fosse il segnale di una necessaria collaborazione, per un reciproco arricchimento dei progetti e un’azione complessiva più incisiva.
Le sembra che tale sfida e spinta della Fondazione sia stata ascoltata?
La spinta alla collaborazione è stata pienamente compresa e fatta propria dai partecipanti al bando. Già questo è un risultato estremamente positivo, confermato da tutti i partecipanti. Vorrei anche sottolineare che il bando è stato preceduto da una fase di co-progettazione, e che prima di pubblicarlo abbiamo accolto le proposte di modifica avanzate dai vari soggetti. Anche questa nuova modalità ha costituito un momento di crescita e di confronto. Altri momenti di confronto sono poi previsti durante la fase di realizzazione e a conclusione del progetto, così da verificare aspetti positivi e criticità. Questo in vista di una continuazione e di una riproposizione del bando anche nei prossimi anni. Insomma, siamo tutti fortemente impegnati ad imparare, sia noi come proponenti che i partecipanti al progetto. Come Fondazione Cassa di Risparmio abbiamo poi voluto mettere l’azione a contrasto della povertà educativa e a sostegno dei giovani al primo posto nelle missioni individuate nella programmazione per il prossimo triennio.
Che conseguenze può avere questa firma comune e questo bando per la nostra città, famosa ormai per essere un laboratorio multietnico a cielo aperto?
Una prima conseguenza positiva è stata quella di conoscerci reciprocamente, percepirsi come soggetti attivi animati da una comune progettualità. È stato evidente fin dal momento della firma del Patto e dalla prima azione realizzata con i partner, un workshop comune ai due progetti. Abbiamo poi già verificato che alcuni dei partecipanti, che si sono conosciuti nella fase di progettazione, hanno poi deciso di elaborare insieme anche altri progetti, in altri ambiti. Solo alla conclusione del progetto potremo valutare risultati e criticità, ma sono certa che questo bando costituisce una sorta di nuovo inizio, sia come metodo che come contenuti, un anno zero della collaborazione da cui non torneremo più indietro.
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