Pozzuoli, un sussulto di cittadinanza

Le sfide di una città e di un territorio che meritano un futuro diverso. A colloquio col vescovo, mons. Gennaro Pascarella.
Il Rione Terra

Nella sua Lettera aperta alla città di Pozzuoli del Natale scorso, mons. Gennaro Pascarella, dal 2004 vescovo di una diocesi che abbraccia l’intera area dei Campi Flegrei, scrive: «Non possiamo più lamentarci che “le cose non vanno bene”, che c’è degrado, che la città non funziona, se poi deleghiamo tutto, se non assumiamo la nostra responsabilità di cittadini». E auspica un «sussulto di cittadinanza attiva» per ri-appassionare i puteolani al bene comune.

Suona quanto mai opportuno questo invito per un comune due volte commissariato anche per infiltrazioni camorristiche, e che quest’anno vedrà i cittadini nuovamente alle urne per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale.

 

L’incontro col vescovo avviene nell’episcopio accanto alla cattedrale non ancora riaperta al culto, quarant’anni dopo il devastante incendio del 1956. Siamo nel Rione Terra, antica acropoli di questa città che fu il primo porto della Roma imperiale e dove fece tappa l’apostolo Paolo, diretto alla Città eterna per esservi giudicato quale cittadino romano: evento che i puteolani stanno celebrando con uno speciale “Anno paolino” dopo un altro significativo, l’ottavo Sinodo diocesano del 2007.

Insieme ad una fondazione anti-usura, al lancio del “Progetto Policoro” rivolto ai giovani, sono alcune delle recenti iniziative promosse dalla diocesi per ridare speranza e vivibilità ad una città che attraversa una fase di stallo.

 

Mons. Pascarella, quali le sfide di una città come Pozzuoli?

«Vanno dalla struttura viaria e urbanistica, all’integrazione armonica tra mare, campagna e città; dal rilancio del turismo archeologico, storico e culturale, all’intervento a favore delle periferie; dalla promozione di nuovi stili di vita e di consumo, che permettano di affrontare alla radice il problema dei rifiuti e degli scarti (che oggi richiedono soluzioni innovative per la riqualificazione, il riuso e lo smaltimento), alla necessità di ostacolare senza mezzi termini la criminalità, l’illegalità e l’economia sommersa; dal superamento di un certo modo clientelare di far politica, all’esigenza per la città tutta di riappropriarsi della propria identità, anche con la riapertura al culto della “sua” cattedrale, in modo che possa rivivere il Rione Terra e Pozzuoli possa riavere il suo duomo».

 

E nel resto della diocesi?

«Al mancato sviluppo del territorio è legata una disoccupazione galoppante, che penalizza soprattutto i giovani, costretti a cercare lavoro altrove, laddove un tempo tutto il lungomare da Bagnoli in qua era un susseguirsi di industrie. Come Chiesa stiamo rilanciando il “Progetto Policoro”, promosso dalla Cei: un tentativo di aiutare i giovani ad acquisire uno spirito imprenditoriale che stimoli la creazione di cooperative, abbandonando la cultura del posto fisso».

 

Nella sua “Lettera aperta” parla di promuovere una “scuola di formazione all’impegno sociale e politico”. Un obiettivo forse troppo lontano, con problemi così impellenti?

«È vero. Ma educare all’impegno per il bene comune esige un cammino, richiede tempo! Vale la pena di “sostenere la crescita di una nuova generazione di laici cristiani, capaci di impegnarsi al livello politico con competenza e rigore morale”, come recita un recente documento della Cei. E aproposito di laici, c’è in diocesi una presenza abbastanza viva che vede, accanto ad associazioni classiche come Azione cattolica, Agesci, Acli e gruppi legati allo spirito francescano, movimenti e nuove comunità come Neocatecumenali, Rinnovamento nello Spirito, Focolari. Tutti carismi che costituiscono una vera ricchezza nel cammino di conoscenza, scambio e progettazione comune che stiamo percorrendo».

 

Cosa si propone un evento come l’Anno paolino?

«Offrire un modello affascinante di vita cristiana che ci incoraggi ad essere veri discepoli di Gesù nel nostro tempo, seguendo l’esempio di fede, coraggio e passione apostolica di san Paolo. Siamo, infatti, debitori verso la nostra Chiesa di Pozzuoli di un rinnovato annuncio del Vangelo, capace di trasformare il vissuto quotidiano delle famiglie, dei giovani, degli anziani, dei poveri e degli emarginati».

 

Rifiuti: emergenza o affare?

 

Anche la Chiesa flegrea dice “no” al degrado politico e “sì” alla società civile

 

Sabato 29 gennaio: la gente non ci sta alla proposta di una nuova discarica individuata dalla Provincia di Napoli, in località Brindisi, a Quarto, alcuni chilometri da Pozzuoli e pochi di più dalla decennale discarica di Pianura, ormai satura ma non certo innocua. Alla manifestazione, indetta all’unanimità dal consiglio comunale, hanno partecipato tra 10 mila e 20 mila cittadini (il numero varia a seconda delle fonti, ma resta comunque rilevante), solidali i comuni confinanti. «Il presidio mobile dell’amministrazione comunale presso la cava – ha affermato il sindaco di Quarto, Sauro Secone – continuerà a tempo indeterminato. Ci sono stati 40 mila “no” alla discarica in via Spinelli. Un “no” motivato da varie ragioni e in particolare per gli incrementi di mortalità per malattie tumorali nel nostro territorio, come indicano chiaramente gli ultimi dati dell’Asl Napoli 2».

Anche il vescovo di Pozzuoli, mons. Pascarella, partecipa al dissenso per la nuova discarica con un messaggio nel quale, fra l’altro, annuncia per il 12 febbraio la presentazione del progetto di realizzazione, nelle vicinanze della cava, di un santuario mariano, comprendente anche un centro congressi e strutture sportive.

 

Purtroppo, quanto dichiarato lo scorso settembre da Guido Bertolaso la dice drammaticamente lunga sulla incomprensione (reale o voluta), che peraltro non appartiene solo all’ex capo della Protezione civile: «Non si capisce per quale ragione oggi ci sia a Napoli la spazzatura nelle strade. C’è qualcosa che non mi torna». In effetti, ciò che non torna è parecchio. Qualche esempio riguardo ai consorzi di trasporto dei rifiuti e al numero degli addetti. Secondo un’inchiesta del Corriere della Sera, i tre o quattro grossi consorzi che appaltano i trasporti (su gomma, ovviamente) guadagnerebbero da ogni compattatore appaltato circa mezzo milione l’anno, paga dell’autista e consumi esclusi! Quanto al numero degli addetti, la regola base sarebbe: «Un ciclo della nettezza urbana che non funziona dà da vivere al doppio delle persone rispetto ad un sistema efficiente».

 

Da qui il dato: ad una media italiana di 1,7 addetti ogni mille abitanti, fa eco la media campana di 3 addetti, e con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. In unità lavorative, a Napoli ci sarebbero 2400 addetti (senza contare i 650 delle società appaltatrici esterne) quando ne potrebbero bastare 700 se ci fosse un sistema funzionante di raccolta e smaltimento. E la tassa sui rifiuti solidi urbani a Napoli è il doppio di quella di Pordenone, dove però il reddito è anche mediamente il doppio di quello napoletano.

 

Non si tratta qui delle “strampalate favole” del signor Saviano, ma della situazione invivibile di milioni di persone. Anche perché altro è spazzare sotto il tappeto in provincia di Napoli (con oltre 3 milioni di abitanti) e altro è farlo in zone decisamente meno popolose. Per risolvere civilmente la questione, l’uovo di Colombo potrebbe essere: affrontare il problema non in contrasto con i cittadini e le istituzioni, ma in dialogo con loro, non trovare (e imporre) un buco qualsiasi da riempire aumentando gli addetti. Le responsabilità sono chiare e non riguardano certo solo il governo nazionale. Per non parlare della camorra. Ma quella, si sa, con la politica che c’entra?

Mario Casale

Box

 

I Campi Flegrei tra passato e presente

 

Un piccolo universo dove mito, storia, arte hanno lasciato tracce cospicue: da Cuma, sede della famosa Sibilla, alle delizie balneari di Baia, al lago d’Averno, dove gli antichi poeti fissarono l’ingresso dell’Ade (e oggi di proprietà di un fiancheggiatore, a quanto pare, del clan dei casalesi). Bellezze naturali, unite alle innumerevoli sorgenti termo-minerali, attirarono in questi luoghi imperatori e membri dell’aristocrazia romana, che vi costruirono palazzi, ville e terme, progettarono gallerie, canali e porti.

 

Riscoperti nel Quattrocento quando i medici della scuola salernitana rimisero in auge le qualità medicamentose delle sue acque, i Campi Flegrei divennero più tardi una meta irrinunciabile per i visitatori del Grand Tour, attratti – oltre che dai suoi monumenti – da una natura rigogliosa e opulenta, grazie alla feracità del suolo vulcanico. Suolo le cui manifestazioni ora benefiche ora catastrofiche giustificano ampiamente il nome di “campi di fuoco” attribuito loro.

 

E oggi? Malgrado le brutture edilizie e le devastazioni operate dall’uomo, i Campi Flegrei riservano ancora tesori incomparabili per il turismo. Eppure – vuoi per burocrazia e incompetenza, vuoi per indifferenza – non solo la situazione alberghiera è molto carente, ma risulta arduo al visitatore anche rintracciare luoghi e monumenti che tutti ci invidiano. Altra risorsa sfruttata solo in minima parte, le sorgenti termominerali. Studi in corso indagano sul possibile sfruttamento dell’enorme potenziale di energia geotermica del sottosuolo, ma quanto occorrerà attendere perché ne tragga vantaggio la collettività?

O.P.

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