Povertà e tenuta democratica del Paese
Si presume che saranno in molti a scendere in piazza il 5 dicembre per una manifestazione contro il carovita indetta da prima che si costituisse il governo Meloni.
Ma è evidente che saranno proprio le misure dell’esecutivo di destra – centro ad essere prese di mira. L’iniziativa è partita dalle rete Numeri Pari, promossa da Libera, «per sconfiggere la crisi e dare voce a chi la vive sulla propria pelle, non può permettersi nemmeno le spese sanitarie di base, ha difficoltà ad avere un tetto sulla testa, a portare a termini gli studi, a fare la spesa, a pagare le bollette».
Il tema destinato a dominare il dibattito è quello del Reddito di Cittadinanza, la misura introdotta durante il governo di Lega e 5 Stelle con toni trionfalistici evidentemente impropri o ingenui. Non si può essere leggeri e banali quando si parla di povertà. Esistono le persone e le famiglie che possono attraversare periodi anche lunghi di forte disagio senza per questo dover diventare un dato statistico o un fenomeno da esibire.
Esistono contrapposte visioni di politica economica e sociale che vanno approfondite per cercare di capire, al di là degli slogan, le scelte che si possono compiere per adempiere alla finalità della dignità umana e sociale stabilite nella Costituzione.
Come è noto la maggioranza di governo ha espresso in tanti modi durante la campagna elettorale tutta la propria contrarietà verso il RdC tanto da prevederne ora, nella manovra, una riforma radicale nel 2024 e una riduzione durante l’anno in corso con effetto da settembre 2023 quando i cosiddetti “occupabili” perderanno l’indennità. Il criterio seguito è quello di togliere, dopo 8 mesi, il RdC a chi teoricamente potrebbe lavorare e non ha a carico persone minorenni, disabili o anziani.
La decisione presa comporterà che una fascia di percettori stimata da 400 a 600 mila persone non avrà alcun reddito se in questi mesi non saranno in grado, con l’aiuto della formazione e il sostegno dei centri per l’Impiego, di trovare un’occupazione.
Come è noto non è affatto semplice trovare un lavoro in Italia, soprattutto in un periodo segnato dalla recessione e dalla crisi e per categorie di persone che partono da una posizione di svantaggio.
Si comprende il senso della scelta fatta dal governo che ha dato voce a quella parte dell’opinione pubblica convinta che il RdC si rivelasse un favore per furbetti e divanisti, ma sembrano sottostimati gli effetti negativi di una tale taglio improvviso per la vita delle persone coinvolte e le loro famiglie.
Eppure non mancano studi e approfondimenti per operare una correzione del RdC nella direzione di maggiore equità. Esiste ad esempio la relazione della commissione scientifica di valutazione del Reddito di Cittadinanza, nominata dal governo precedente, che contiene alcune proposte di modifiche che meritano attenzione, soprattutto con riferimento alla riforma radicale prevista per il 2024 ma che occorre impostare bene fin da adesso.
Il contrasto alla povertà è una sfida per la democrazia, come fa presente l’Alleanza contro la povertà che esprime 36 organizzazioni sociali e civili impegnate in questo campo ormai da 10 anni. È bene tener presente, infatti, che fino al 2017 l’Italia è l’unico Paese dell’UE a non avere uno strumento di sostegno minimo al reddito espressamente a contrasto della povertà. La proposta del Reddito di inclusione sociale da parte dell’Alleanza comportava non solo un impegno di spesa adeguato, non finanziato tuttavia in maniera adeguata, ma un coinvolgimento diretto del terzo settore e degli enti locali.
L’impegno di spesa è stato invece significativo nel 2019 con il RdC. Tale strumento, secondo l’Alleanza, presentava delle criticità da migliorare, tanto che è stato necessario introdurre il Reddito di emergenza durante il periodo più duro della pandemia, ma bisogna riconoscere che «il RdC è stato oggetto di campagne mediatiche molto dure che hanno generato una narrazione alterata che non prende atto del fatto che – come dimostrano i documenti dell’Istat – senza il RdC avremmo almeno un milione di poveri in più. Pertanto la copertura economico-finanziaria è assolutamente necessaria e, semmai – tenendo conto dei rincari di beni e servizi -, andrebbe implementata».
Ad oggi «gli ultimi dati Istat dicono che in Italia ci sono quasi 2 milioni di famiglie, pari a oltre 5 milioni e mezzo di persone, in povertà assoluta, con 1,3 milioni di minori coinvolti. Tra 2020 e 2021 l’incidenza della povertà è cresciuta maggiormente nelle famiglie con almeno 4 persone, con minori di 4-6 anni, con stranieri e quelle con un reddito da lavoro».
Per come è stato impostato il RdC penalizza le famiglie numerose e pertanto questa è una delle cose da riformare con urgenza assieme ad altri aspetti, ad esempio il livello troppo basso del patrimonio immobiliare che impedisce di corrispondere il reddito, che vanno esaminati con cura. Di sicuro è importante capire come accompagnare il passaggio dal RdC al lavoro consentendo di associare man mano quote di reddito con la retribuzione fino a giungere ad una condizione dignitosa della persone e del nucleo familiare.
La pretesa del RdC di affiancare il sostegno di cittadinanza alle misure di politiche attive del lavoro si è scontrata con il pieno della crisi pandemica con l’effetto paradossale di lasciare senza un’occupazione i navigator, cioè i tecnici assunti a tempo per far incontrare domanda e offerta di lavoro, che hanno fatto comunque un servizio importante.
Se, come sembra inevitabile, l’indirizzo del governo è quello di mantenere un reddito di solidarietà riservato ad alcuni soggetti più fragili, si tratta di capire come verrà gestita la ricerca di occupazione per chi è senza lavoro. Se cioè verranno incrementati i servizi pubblici di collocamento o se verrà affidato la gran parte dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro alle agenzie private con attenzione, in particolare, alle forme contrattuali ritenute “congrue”, per usare il termine della legge vigente che prevede la perdita del RdC in caso di rifiuto di un lavoro definito “congruo”.
Ma è ovvio che la crescita dell’occupazione è legata alle politiche industriali ed economiche che saranno adottate. Le risorse del Pnrr hanno fatto sperare in un ciclo keynesiano di creazione di lavoro con effetti di redistribuzione di ricchezza. Più soldi disponibili per la fasce medio basse della popolazione vuol dire maggiori consumi di beni essenziali ed entrate per le casse dello Stato chiamato ad assicurare servizi di qualità per tutti. In assenza di un tale ciclo virtuoso il lavoro, che è fonte di dignità, resta un bene scarso e chi ne è sprovvisto rischia di cadere in una spirale di impoverimento che non può essere, per di più, aggravato da un giudizio di colpa.
I termini della questione sono, quindi, molto più complessi di un dibattito tra chi è a favore o contro il RdC.