Povertà nel Paese del gratta e vinci
Anche le ragionevoli associazioni radunate nell’Alleanza contro la povertà, di cui abbiamo più volte riferito su cittanuova.it, hanno criticato come inadeguate e insufficienti le misure adottate dal Consiglio dei ministri lo scorso 29 gennaio 2016. Un “nulla di nuovo” che non sorprende Daniele Poto, saggista già conosciuto per gli studi su azzardopoli e ora autore del libro “Italia Diseguale Povertà e ricchezza nel Belpaese”(edizioni Abele). Facciamo, quindi con il ricercatore di Libera il punto della situazione avendo presente che il dibattito sulla lotta alla miseria e all'impoverimento è molto acceso tra posizioni radicalmente diverse e conflittuali tra loro. Una delle quali è la proposta del “reddito di dignità” elaborata dal gruppo Abele e dalla rete di associazioni contro le mafie.
Dalla tua analisi quale prospettiva di contrasto all’impoverimento ti sembra più coerente ed efficace?
«Il reddito di cittadinanza o di dignità che dir si voglia è una prospettiva che ci mette al passo non con l’Europa più progredita ma con l’Europa tout court e quello che resta dello Stato sociale. Nel momento in cui la struttura della società fa mancare il lavoro, bisogna spostare l’accento e il bisogno sulla persona che va rifornita di una pur minima misura di sostentamento senza ricorrere al bonus e mance più o meno elettorali che ricordano tanto la social card. Consentire la prolificazione di nuovi poveri è un delitto contro l’umanità e come tale va perseguito. In Italia attualmente circa sei milioni di persone (un italiano su dieci) versano in stato di necessità. L’etero-direzione della politica, condotta da cartelli e da poteri forti, favorisce il processo di polarizzazione della povertà e, al contrario, di esaltazione delle rendite. La povertà crea nuova povertà, il denaro attira nuovo denaro come una calamita».
Quali elementi strutturali bisogna considerare a livello preventivo per poter rimuovere le cause dell'ingiustizia sociale?
«La società italiana è fondata sullo spreco. Se ogni italiano che nasce si presenta al mondo con un debito immanente di 38 mila euro è perché paghiamo ogni anno una tassa cancerogena di 550 miliardi. Tanto è il valore del paese illegale cumulando evasione fiscale, corruzione e fatturato delle mafie. Questo peso opprimente vale circa un quarto del debito pubblico italiano del cui sviluppo è facile perciò intuire la genesi. La cultura sradica l’ignoranza. L’educazione civica rimuove pregiudizi e cattive pratiche. Scuola e ricerca hanno una grande responsabilità nella formazione dei nuovi soggetti che dovrebbero cambiare l’Italia. Ma lo Stato non investe su queste fondamentali direttrici».
Che legame esiste tra l'azzardo diffuso e il fenomeno della povertà? Si tratta di un aspetto marginale o è un criterio rivelatore della realtà italiana?
«Chi vince nell’azzardo? Chi non gioca. Con l’azzardo i poveri diventano più poveri e la classe media s’inabissa. Se il peso fiscale in Italia è salito al 44,1% questa tassa indotta aggrava ancora di più i bilanci familiari e, di converso, si riflette sull’economia facendole mancare investimenti e risorse finalizzate nella misura di circa 90 miliardi all’anno che vengono indirizzate verso questo anti-valore. Che, tra l’altro, è anche perdita di Pil oltre che una colossale perdita di tempo “sociale”, un serbatoio di diffusa e fantasiosa illegalità, un brodo di coltura per le dipendenze di ogni ordine e grado. Immorale che lo Stato favorisca lo sviluppo dell’azzardo, costituzionalmente vietato e schizofrenicamente incoraggi la pubblicità come fattore di espansione del sistema».