Povertà di relazioni, cosa fare?
Com’è la nostra vita, personale e sociale? Ricca o povera di relazioni? In via di arricchimento o in via di desertificazione? E non sto parlando naturalmente del numero di “mi piace” o di contatti che ha il nostro profilo Facebook. Sto parlando di incontri veri, con persone vere.
Quali persone? Mio fratello, mia madre, mio marito, la mia amica, il mio collega, il mio compagno di partito, la coppia del mio quartiere o condominio, il fratello della mia comunità. Sono un esperto di relazioni o un analfabeta? Domande essenziali visto che ognuno di noi costruisce la società, più o meno vera, più o meno solidale. E Dio, come generatore di rapporti sani, conta ancora qualcosa o è sparito definitivamente dall’orizzonte sociale?
A queste domande offrono provocazioni e spunti di risposta Ezio Aceti (psicologo infantile e collaboratore di Famiglie Nuove), Chiara d’Urbano (psicoterapeuta), Lucia Fronza Crepaz (formatrice politica), Daniela Notarfonso (responsabile di consultorio familiare). Solo spunti di risposta perché nel laboratorio su “Povertà di relazioni. In famiglia, nei social, nelle comunità, in politica e… con Dio” il protagonista vero è il pubblico con le sue domande, le sue storie, i suoi dubbi, le sue riflessioni, la sua cittadinanza attiva.
Prendiamo ad esempio la famiglia: dovrebbe essere il luogo della relazione, ma quando il rapporto uomo-donna è in crisi, tutta la famiglia è in crisi. L’esperienza dei consultori familiari mostra che c’è un diffuso analfabetismo relazionale: è come se gli uomini e le donne di oggi non sapessero più cosa vuol dire entrare in rapporto con l'altro, uscire da se stessi per accogliere l'altro. Forse vorrebbero, ma non hanno gli strumenti, non sanno come fare. Le conseguenze peggiori sono sui figli che crescono insicuri e autocentrati, con conseguenti difficoltà, da grandi, a formare coppie stabili.
Oppure i social, luogo di scambio per eccellenza. Eppure c'è chi li accusa di essere proprio la causa dei malesseri attuali. Forse i social hanno solo captato una crisi antropologica in corso e hanno provato a soddisfare un bisogno, espresso e inespresso, offrendo un “prodotto”…
All’estremo opposto: una volta c’era l’ateo convinto. Oggi non c’è più neanche l’ateo, perché Dio non lo si conosce proprio. E quindi pochi parlano ai bambini di Dio. Ma questo è un disastro, perché se è vero che siamo “immagine di Dio“, la povertà di relazione con Dio significa anche povertà di relazione con la nostra vera identità, e quindi povertà di relazione dell’uomo con l’uomo. Invece la relazione con Dio trasforma, illumina e dà senso ad eventi e rapporti.
Insomma un laboratorio ricchissimo di argomenti, che ha offerto la possibilità di parlarsi a cuore (e cervello) aperto, tra gente che ha ancora voglia di “menar le mani”. Per non arrendersi al declino, culturale e sociale. Il dialogo continua sui libri, sui periodici e sul sito del Gruppo editoriale Città Nuova. Arrivederci a presto…