Poveri di diritti, poveri di doveri

Presentato a Roma l'undicesimo rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia, elaborato da Caritas Italiana e Fondazione Zancan
famiglia povera

Non poteva essere scelto giorno migliore, la Giornata mondiale di lotta alla povertà, per presentare l’XI rapporto sulla povertà e l’esclusione sociale in Italia 2011, dal titolo "Poveri di diritti": «Alle persone che vivono in condizioni di povertà – si legge infatti nel rapporto – si pensa solo in termini di insufficienti risorse economiche, ignorando che esiste tutta una serie di altre privazioni che peggiorano lo stato di precarietà e ne impediscono il superamento. Il diritto alla casa, al lavoro, alla famiglia, all’alimentazione, alla salute, all’educazione, alla giustizia – pur tutelati dalla Costituzione italiana – sono i primi a essere messi in discussione e negati. Allo stesso modo, viene regolarmente violato il “diritto a non scomparire per effetto statistico”, visto che le statistiche sulla povertà non riescono a documentare gli effetti devastanti della crisi per molte famiglie».

 

Si capisce che non c’è molto rosa, pur con una copertina colorata, nel volume curato come ormai consuetudine dalla Caritas Italiana e dalla Fondazione Zancan; ma c’è molta ricerca della verità e molta attenzione. La stessa attenzione che ha prospettato il segretario generale della Cei mons. Mariano Crociata, che ha introdotto la presentazione del rapporto, affermando che è necessario «cogliere i segnali di preoccupazione che giungono in questa fase della vita sociale ed economica e incoraggiare a farsene carico responsabilmente», vista «la riduzione dell’offerta di occasioni per un numero crescente di persone». L’aumento della povertà – ha aggiunto il segretario della Cei – rivela «la tenuta complessiva di una società come la nostra, attraversata da profonda crisi economica, ma anche da anomia e crisi di senso e di valori». Monsignor Crociata ha sottolineato, con una certa preoccupazione, «la condizione dei giovani, la cui povertà fondamentale si configura come mancanza o perdita di futuro, perché vede sommersi e resi inaccessibili i territori del sapere e intaccata ogni opportunità di lavoro».

 

Le cifre, spesso si dice, lasciano il tempo che trovano: ma sapere che 8 milioni e 272 mila persone in Italia vivono in povertà, pari al 13,8 per cento della popolazione, per un totale di 2,73 milioni di famiglie povere, mette una certa fretta a non perdere tempo. Ma se è importante ed interessante capire e conoscere il fenomeno in crescita della povertà, lo è altrettanto conoscere che con essa vi è anche la conseguente negazione del «diritto alla casa, al lavoro, alla famiglia, all’alimentazione, alla salute, all’educazione, alla giustizia». La crisi – viene rilevato nel volume – ha prodotto «un notevole incremento dei fenomeni di sottoccupazione e lavoro nero». Se nel 2004 il 75 per cento dei bisogni rilevati erano di carattere primario e strutturale (abitativi, alimentari, economici, sanitari), nel 2010 questo valore raggiunge l’81,9 per cento. Il rapporto punta il dito anche su una nuova «emergenza abitativa», aggravata dalle «scarse risposte delle amministrazioni centrali e locali»: i problemi di alloggio sono aumentati del 23,6 per cento.

 

Secondo Caritas e Fondazione Zancan le risorse per far fronte al fenomeno ci sarebbero, ma sono male investite: negli ultimi due anni il bilancio assistenziale dei Comuni è aumentato del 4 per cento, la spesa per la povertà dell’1,5 e quella per il disagio economico del 18. Ma se la condizione di povertà di molte persone aumenta vuol dire «che le politiche fin qui attuate non sono riuscite a incidere sul fenomeno». Qualche ricetta? «Incrementare il rendimento della spesa sociale», anche attraverso «la professionalizzazione dell’aiuto»; «recuperare i crediti di solidarietà; investire in servizi gli attuali 17/18 miliardi di euro oggi destinati a indennità di accompagnamento e assegni al nucleo familiare».

 

 

Ma sicuramente vi è anche una povertà, sottile ed impalpabile, che sta bruciando generazioni: quella che mons. Crociata ha definito “povertà di futuro”. Infatti solo un terzo dei giovani riesce a migliorare la propria condizione sociale rispetto a quella dei genitori, oltre la metà rimane ancorata al ceto sociale da cui proviene, e una parte è costretta addirittura a scendere ad un gradino di benessere inferiore. «È un fenomeno che mai si era verificato prima d’ora nel nostro Paese – secondo monsignor Vittorio Nozza, direttore della Caritas – e che rischia di intaccare il capitale di fiducia necessario per garantire nel tempo sviluppo e promozione sociale».

 

Non potevano mancare nel rapporto necessari richiami alla Costituzione e si sente, ora più che mai, l’eco sempre più distante dell’art. 3 dove si sottolinea che «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (…)». Infatti oggi esiste una cultura diffusa secondo cui le azioni a favore dei poveri da parte dello Stato sono una specie di benevolenza, una concessione, una cura di mantenimento per povertà di lungo periodo da cui è difficile uscire. È proprio questo atteggiamento a comportare la negazione di alcuni tra i diritti fondamentali.

 

Tra questi Caritas e Zancan sottolineano in primo luogo il diritto alla famiglia: senza un adeguato sostegno, le famiglie non saranno incentivate a fare figli e le ripercussioni a livello demografico saranno pesanti. Nel bilancio di previsione dello Stato per gli anni 2010-2013, il Fondo per le politiche della famiglia si riduce dai 185,3 milioni di euro del 2010 ai 31,4 del 2013. Ma a soffrire è anche il diritto al lavoro: in Italia i cittadini con un lavoro regolarmente retribuito sono soltanto il 56,9 per cento (quasi 22 milioni e 900 mila), una percentuale tra le più basse dell’Occidente. Sono tre le categorie particolarmente vulnerabili: i giovani (l’occupazione è crollata dall’8 per cento del 2009 al 5,3 nel 2010), le donne (solo il 47 per cento ha un impiego) e le persone disabili (nel 2008 hanno fatto domanda di assunzione 99.515 disabili e nel 2009 83.148, ma gli avviamenti effettivi al lavoro sono stati rispettivamente 28.306 e 20.830). Ma sul lungo termine si prospetta una negazione del diritto al futuro per i giovani: coloro che hanno iniziato a lavorare a metà degli anni Novanta matureranno verso il 2035 una pensione analoga a quella degli attuali pensionati con il minimo Inps, ossia di 500 euro. Sono i poveri relativi di oggi e i poveri assoluti di domani.

 

Non manca mai nel rapporto il richiamo alle responsabilità di ciascuno. Oltre a quelle istituzionali vi è una responsabilità civica di ciascuno di noi, che forse abbiamo spesso aggravato l’impoverimento per l’incapacità di rinunciare a determinati livelli di consumo. Non solo per “sacrificio”, ma anche per una nuova sobrietà sociale, dovremmo cambiare i nostri stili di vita.

 

Ci piace concludere con quanto si legge nel retro copertina del rapporto: vi sono «i diritti separati dai doveri, l’aiuto senza reciprocità e fraternità. Il povero ha anzitutto diritto di essere persona e non soltanto individuo. La persona è relazioni, legami, spazi di vita. Senza la persona la lotta alla povertà finisce per essere cura che riduce il dolore, ma non risolve il problema, è risposta senza soluzione»

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