Posso esprimere un desiderio?
Quel barbiere doveva proprio essere un grande scocciatore. Perché Nicolò Salvi, l’architetto della fontana di Trevi, al colmo dell’irritazione fece erigere un grande vaso di travertino per nascondere la vista del cantiere all’ostinato barbiere che quotidianamente usciva sull’uscio dalla botteguccia e, fra un cliente e l’altro, non perdeva occasione per criticare i monumentali lavori che si stavano portando avanti da tanto tempo. Sarà vero? Mah! Comunque il vaso fu poi chiamato “asso di coppe” perché ricorda la carta da gioco, ed è ancora lì, morto il Salvi e morto il barbiere: lo si può vedere sulle rocce a sinistra della fontana.
Diciamola tutta, non aveva ragione il barbiere, perché la fontana di Trevi è stata poi ammirata da milioni di visitatori e s’è elevata a una delle icone della città eterna. È come un gioiello prezioso indossato da una splendida donna: ha reso Roma ancora più avvenente, più affascinante. Strappando emozioni che Venditti ha messo in canzone: «Quanto sei bella Roma quand’è sera / quando la luna se specchia dentro ar fontanone». È proprio romantica quella fontana, specialmente a sera inoltrata, in un giorno settimanale, meglio se in primavera o in autunno, quando non ci sono troppi turisti attorno, e allora, se si è in compagnia del proprio amato o amata… come si può resistere a un bacio di fronte “ar fontanone”? Fregandosene beatamente di non essere originali. Perché, si sa, ormai la fontana è legata all’indimenticabile bacio dell’incantevole Anita Ekberg e d’un Mastroianni in splendida forma; quando lei nel film di Fellini entra in vestito da sera nella vasca e lo chiama a raggiungerla: «Marcello, Marcello!».
La fontana di Trevi, che ora celebra il compleanno numero 250, ha una lunga storia. Risale ai tempi dell’imperatore Augusto quando, secondo una leggenda popolare, una giovane donna indicò ai soldati il luogo della fonte da cui scaturiva l’acqua che sarebbe poi stata incanalata nell’acquedotto che intendevano costruire. Quell’acquedotto è sopravvissuto alle invasioni di Goti e compagni, alle turbolenze del Medioevo, ed è ancora a tutt’oggi funzionante. Della giovane donna che indicò ai soldati il luogo della fonte il nome non è rimasto, ma l’acquedotto, chiamato dell’Aqua Virgo, fu dedicato a lei, alla “vergine”. E proprio lei è rappresentata in un bassorilievo posto in alto, in una delle due nicchie accanto all’arco principale dell’attuale fontana.
L’acquedotto terminava in un trivio, che nella lingua d’allora si chiamava “treio”. Da qui il nome di fontana del Treio, che divenne poi “di Trevi”. All’inizio v’erano solo tre bocche che versavano acqua in tre vasche vicine, poi dal 1400 fino al suo completamento, progetti su progetti, cantieri iniziati e poi chiusi, architetti uno dopo l’altro – grandi nomi da Leon Battista Alberti a Bernini –, papi che finanziavano e poi ritiravano i soldi. Finché papa Clemente XIII mise mano al portafoglio, fece completare i lavori e presidiò alla definitiva inaugurazione della fontana il 22 maggio 1762.
Il suo ultimo architetto, il Salvi, quello della storiella col barbiere, era morto una decina d’anni prima e non vide mai lo splendore del suo capolavoro, portato a compimento dallo scultore Bracci. Fu il Salvi a voler celebrare nella fontana il trionfo dell’acqua, simbolo di Salubrità e Abbondanza, le due figure femminili poste accanto all’imponente statua centrale di Oceano, che guida il cocchio trainato da due cavalli alati, uno pigro e uno scalciante, che scendono tra le rocce nella vasca.
E nella vasca d’acqua azzurrina… ci sono le monete. Perché davanti alla fontana di Trevi non bisogna fare gli snob, ma cedere alla plebea voglia di lanciare nell’acqua una monetina, come tradizione ben vuole, ponendo una mano sulla spalla sinistra. «Ce sta ’na leggenda romana / legata a ‘sta vecchia fontana / per cui se ce butti un soldino / costringi er destino a fatte tornà. / E mentre er soldo bacia er fontanone…», cantava Rascel. Eh sì! Una leggenda dice pure che chi getta nella fontana tre monete, con la prima si garantisce di tornare a Roma, con la seconda s’assicura d’incontrare un nuovo amore, mentre la terza lo condurrà al matrimonio! L’usanza popolare di gettare monetine nella fontana è molto antica: pare risalga a tempi pagani, quando in certi luoghi particolari si lasciava un obolo per ingraziarsi il favore degli dèi. Oggi queste monete sono raccolte dal Comune di Roma che le dona alla Caritas e ad altre associazioni di volontariato.
L’altro giorno, mentre stavo di fronte al fontanone, m’è venuto in mente un aneddoto della tradizione chassidica. Si racconta che un giorno il Baal Shem, fondatore del movimento ebraico dei chassidim, avvicinandosi a una sinagoga, si fermò e disse ai suoi compagni che non riusciva ad entravi. «Perché?», chiesero essi meravigliati. «Perché è intasata da tutte le preghiere dette con poca fede, che non sono mai salite in cielo, e stanno lì a marcire sotto il tetto». Si dice che il Baal Shem allora pregò, e quelle preghiere – un po’ appassite, quasi scadute – salirono in cielo. Solo allora lui entrò nella sinagoga.
Perché vi dico questo? Perché vedendo quella gente che stava di fronte alla stupenda fontana, vedendo i loro volti, i loro occhi chiusi mentre lanciavano le monetine, vedendo quei soldini che scintillavano sul fondale della fontana, pensavo a tutti i desideri che rappresentavano. Desideri in romano e in piemontese, in thailandese e in inglese, in senegalese e in brasiliano. Sogni di tanta gente, racchiusi in quelle monetine. E m’è venuto da dire: «Posso esprimere un desiderio?». Ecco, desidererei di poter fare come il Baal Shem. Sollevare nei cieli tutte le richieste che stanno nell’acqua della fontana di Trevi (ovviamente, quelle buone, non importa se un po’ triviali o troppo sentimentali). Perché siano esaudite. E così far sorridere tanta gente.