Porzûs, 72 anni dopo

Con la visita dell’Anpi alla commemorazione dell’eccidio dei 17 partigiani della brigata Osoppo, si chiude un doloroso capitolo della storia italiana

La riconciliazione, se non il perdono, sono percorsi, non sono atti compiuti una volta per tutte. Prendiamo la Colombia di oggi e scopriamo quanto sia difficile giungere a un vero processo di pace, che pur può essere previsto in accordi istituzionali, se non si passa per un processo lungo e difficile di riconciliazione, e se possibile di perdono.

Anche noi italiani non siamo da meno. Pensiamo forse di essere al riparo da simili necessità, pensiamo di essere un Paese che non ha più questi problemi. E invece… La ferita di Porzûs è vecchia di 72 anni: in una malga nei pressi della Slovenia, nell’alto Friuli, 17 partigiani della Brigata Osoppo furono ammazzati non dai tedeschi o dai fascisti, ma dai partigiani del Partito comunista, i “gappisti”. Che non tutti i partigiani fossero rossi era cosa conosciuta, ma all’epoca le tensioni divennero tali che quel febbraio 1945 vide esplodere il risentimento dei comunisti contro i cattolici e i liberali che avevano combattuto assieme a loro il fascismo e il nazismo.

Ci sono voluti ben 72 anni perché l’Anpi, l’associazione dei partigiani italiani, dall’inizio di estrazione sostanzialmente comunista, decidesse di rendere omaggio ai 17 morti di Porzûs, in qualche modo ammettendo le colpe di certe frange partigiane e cercando così di purificare la memoria. Tardiva resipiscenza, certamente, l’atto andava fatto molto prima e in modo più ufficiale. L’ideologia è dura a morire! Ma nel processo di riconciliazione, pace e perdono (se possibile) ogni passo in avanti deve essere salutato e apprezzato, anche se tardivo. La pace necessita onestà, sincerità, libertà. Oggi possiamo registrare un piccolo passo in avanti.

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