Pordenone, chi era costui?
La mia prima volta nel duomo di Treviso, nella cappella Malchiostro, non mi stupì la tela di Tiziano sull’altare: una Annunciata in carne, gran signora veneta. Ma l’affresco sulla parete, una Adorazione dei Magi grandiosa, spettacolare, con cavalieri cinquecenteschi, muscoli d’acciaio, costumi sgargianti, e una Madonna, ragazza trevigiana. Era Giovanni Antonio de Sacchis, detto Pordenone dalla sua città friulana. Uno che ha riempito di affreschi simpatici e un po’ bizzarri chiese e chiesette della regione.
Anni dopo, sono entrato nel duomo di Cremona, un romanico solenne. Sulle pareti, le Storie della Passione dipinte da Boccaccino e Romanino, pittori rustici di gran bellezza. Ma la processione gloriosa del Cristo stremato al Calvario e poi la sterminata, grigia e temporalesca Crocifissione sulla controfacciata, con il lanzichenecco-centurione che ci indica il Moribondo, era la ”forza” della pittura. Era lui, Pordenone maturo, che sa di Michelangelo. Ma non lo copia, lo assorbe e s’inventa uno stile gigantesco e umile al tempo stesso, una orchestra patetica dai mille toni. Eccolo il Cristo steso a terra, pallido e bello nella morte, mentre il coro piange sotto la nicchia dorata e la luce inonda noi che entriamo dalla porta laterale della facciata.
Questo è il Pordenone, genio friulano nato verso il 1483, lo stesso anno di Raffaello, e morto cinquantenne a Ferrara nel 1539. Uno che Tiziano temeva per la sua vis drammatica, tanto da fare in modo- come per il Lotto – che se ne andasse da Venezia dove era un concorrente temibile. Non prima di aver lasciato nella chiesa di san Rocco due portelle d’organo strepitose.
Forza erculea, fisica e morale in san Martino che si volta con gran cavallo a dare il manto al povero e un gigantesco Cristoforo in ascolto del Gesù piccolissimo sulle spalle. Teatro sconvolgente, dove il pittore non cade mai nella retorica, a differenza di Tiziano.
Pordenone, nella mostra aperta da poco nella sua città dopo 35 anni con un bel ventaglio di opere sue – ma anche di Giorgione, Bassano, Tintoretto, Lotto, Correggio, Savoldo, Moretto, Tiziano e altri – è artista geniale, affrescatore straordinario, che unisce i l realismo popolare ad una concezione grandiosa dell’ambiente e veneto-lombarda del colore.
La tavola della Madonna e santi nel duomo di Cremona con i l donatore inginocchiato (1522) è una di quelle Sacre Conversazioni affettuose che Pordenone però mitiga nello sguardo di un san Pietro arcigno: i vecchi dell’artista sono o burberi o ridanciani . La Trinità a san Daniele del Friuli (1535 circa) vede un Padre vecchio sbigottito che mostra il Figlio morto ed esangue fra le nubi a dirci di “aver fede”. È pathos sincero, è monumentalità voluta.
Ma Pordenone non è solo pittore di spettacoli sacri, di epici momenti biblici, ma- e questa è forse una novità – pittore di sguardi. Intensi, diretti, formidabili che ci pungono nell’anima. Vedere il Cristo portacroce di Vienna (1515) che si volta con la bocca schiusa a dirci di seguirlo, con il bellissimo vestito rosso ricamato d’oro. Guardare il san Rocco nel duomo cittadino, alto e plastico, che ci mostra la ferita trafiggendoci con una occhiata quasi feroce. E chiudere con il confronto tra il Compianto del Correggio, così flessuoso e prebarocco e la sua Deposizione vasta e scura, col Cristo enorme e i l coro drammatico nel dolore muto.
Ecco chi era Pordenone. Un gigante dell’arte finalmente rivelato.
Il Rinascimento del Pordenone. Pordenone, varie sedi. Fino al 2.2 (catalogo Skira)