Il popolo Waorani in pericolo
«Confido nella capacità di resilienza dei popoli e nella vostra capacità di reazione davanti ai difficili momenti che vi tocca vivere. Lo avete dimostrato nei diversi assalti della storia, con i vostri contributi, con la vostra visione differenziata delle relazioni umane, con l’ambiente e con l’esperienza della fede».
Con queste parole papa Francesco, il 19 gennaio 2018 a Puerto Maldonado (Perù), si è rivolto ai numerosi partecipanti di diverse etnie originarie dell’Amazzonia, da circa 3.000 anni il loro habitat naturale.
Il piccolo popolo Waorani (appena 2.500 membri), che abita da sempre nel territorio dell’attuale provincia ecuadoriana di Pataza, la più orientale dell’ Ecuador, ha preso sul serio queste parole.
Dal 2012, infatti, da quando il Governo dell’Ecuador ha deciso di vendere 3 milioni di ettari di Amazzonia all’industria petrolifera, con effetti devastanti per l’habitat naturale, la piccola comunità indigena si è mobilizzata in una lotta disperata per la sopravvivenza. Una lotta diseguale, come quella di Davide contro Golia, data l’insignificanza del popolo amazzonico di fronte alla forza di un governo che ha come sua principale entrata, a fronte di un ingente debito estero, proprio i benefici derivanti dal petrolio. Lo Stato ha svolto una consulta, celando dietro un’apparente apertura un vero e proprio inganno: evidenziando, cioè, le utilità economiche del petrolio e occultando i gravissimi danni ambientali.
I Waorani, per tutta risposta, hanno deciso di costruire una “mappa” delle specie viventi, animali e vegetali, del territorio, per documentare e raccontare la multiforme vita presente: numerose specie di alberi e arbusti, di uccelli (l’aquila arpia è un loro simbolo, per la sua abilità nella caccia), di mammiferi (tra cui il giaguaro), serpenti, pesci, rane e rospi, lagune, pantani… una vera e propria “mappa viva”, che racconta il forte legame del popolo Waorani con la natura.
Una descrizione dettagliata che ha comportato tre anni di lavoro, dal 2015 al 2018, portato avanti da tutti i membri della comunità: bambini, giovani e anziani, consapevoli della difficoltà di fermare qualcosa di molto più grosso di loro. Per questo, oltre a manifestare nelle strade di Puyo (capitale della Provincia), si sono fatti aiutare anche da avvocati e professionisti per presentare in tribunale le prove della falsità della consultazione, per non aver rispettato i loro diritti e per avere taciuto sugli effetti distruttivi per l’habitat e per la loro stessa sopravvivenza.
Se non fossimo a conoscenza di come vanno a finire in genere questi processi, si potrebbe gioire per la storica sentenza del tribunale, che a fine aprile scorso si è espresso in favore dei Waoriani. Dopo i primi gemiti di vittoria, tuttavia, il Governo dell’Ecuador si sta preparando proprio in questi giorni (il 7 luglio) a fare appello contro la sentenza. Alcune Ong ambientaliste si stanno adoperando, in una corsa contro il tempo, per difendere il diritto di sussistenza della piccola comunità e per salvaguardare un territorio così vitale per tutto il pianeta.
Intanto la Chiesa cattolica si prepara al primo Sinodo Panamazzonico che si terrà nel prossimo mese di ottobre, per porre al centro dell’attenzione mondiale questo prezioso territorio e per entrare in dialogo con i popoli millenari che lo abitano, forse i più deboli del pianeta.
Quello storico 19 gennaio 2018 a Puerto Maldonado (Perù), papa Francesco, davanti a migliaia di “scartati” che l’ascoltavano, si è rivolto commosso all’Eterno: «Che Tu sia lodato, Signore, per quest’opera meravigliosa dei popoli amazzonici e per tutta la biodiversità che queste terre racchiudono». Evidentemente, c’è un altro modo di guardare il Creato e chi lo abita.
C’è, dunque, da aspettarsi molto dal prossimo Sinodo. È in gioco il futuro stesso dell’umanità.