Ponticelli, dove si impara a sposarsi
Ponticelli, Lotto zero. È inutile fingere, chi abita qui è consapevole di trovarsi nella periferia degradata di Napoli. Gli ampi stradoni solitari, lungo i quali le auto sfrecciano a tutta velocità, incorniciano un parco pubblico, quasi un'oasi nel deserto, a poca distanza dal quale sorgono le case popolari costruite con le leggi per la ricostruzione avviata dopo il terremoto del 1980. La povertà dei luoghi spesso contamina gli animi, eppure qualcosa di diverso si sta facendo strada in questo sobborgo nel quale sono confluite intere famiglie di differente estrazione sociale e culturale, provenienti dai rioni di Napoli più poveri e danneggiati dal sisma: Sanità, San Giovanni, Barra, Ferrovia, Quartieri Spagnoli, creando una zona di confine senza una propria identità in cui si vive ai margini della legge. Il Lotto zero si raccoglie intorno alla chiesa di San Francesco e Santa Chiara, sorprendente per l'armonia che ti invade quando entri e la scopri splendente e radiosa. Da più di un anno ha un nuovo sacerdote, don Enzo Liardo. "Quando sono arrivato in questo quartiere ho trovato delle persone alle soglie della povertà e vittime del lavoro nero e della precarietà. Una realtà fragile – commenta – con più di 350 famiglie alloggiate abusivamente nelle case popolari, con molto degrado e poca fiducia nelle istituzioni". Nella desolazione dei luoghi c'erano però semi di vita: una comunità parrocchiale appena delineata, ma ricca di persone di buona volontà. Una di queste, Patrizia Incoronato, sposata e madre di due ragazzi, maestra con il talento di cantante e membro del Movimento dei focolari, da qualche tempo collaborava col coro della chiesa. Sicura che fosse possibile creare unità ovunque, aveva cominciato a stringere legami con tutti, approfittando di ogni situazione. "Ho cercato – spiega Patrizia – di condividere ogni momento con la comunità, coin- volgendo gli altri e sforzandomi di comprendere, in ogni istante, quale fosse la cosa più importante". Il cambiamento del parroco, come spesso accade, aveva lasciato un vuoto e provocato incertezze, ma don Enzo non si era scoraggiato. "Credo in una chiesa fatta di rapporti personali, che parte dalla famiglia e si fa strada lentamente – chiarisce il sacerdote – perciò ho cercato di incontrare le persone, visitando in pochi mesi 2500-3000 parrocchiani, per avere l'opportunità di conoscerli personalmente ". Andando di casa in casa, don Enzo ha incontrato realtà ed esigenze differenti, ma è stato colpito in particolare dalle numerose famiglie di fatto esistenti. "Da queste parti – dice – il matrimonio è quello che si celebra in municipio. Molti pensano che in chiesa si faccia solo la festa. Perciò, in caso di lutti, gravidanze inattese o per mancanza di soldi, il matrimonio ecclesiastico non viene celebrato, ma tante persone vivono questa situazione con disagio". Dodici coppie hanno così cominciato un cammino comune per prepararsi a ricevere questo sacramento; ma solo quattro hanno deciso di compiere l'importante passo, rendendo partecipe della cerimonia nuziale l'intera comunità. "Alcune persone – aggiunge don Enzo – comprendendo il significato del matrimonio, non se la sono sentita di assumere un tale impegno. In qualche caso si trattava di coppie non sposate, o di unioni vincolate unicamente da una nascita improvvisa e non da un legame affettivo. I quattro matrimoni, invece, sono stati celebrati il 4 ottobre, festa di San Francesco, patrono della parrocchia, per coinvolgere anche chi veniva in chiesa solo per gli annuali festeggiamenti. Il matrimonio ha una sua particolare valenza nella comunità ecclesiale, perché consacra l'unione di due suoi membri, e la nostra è stata una grande festa, che abbiamo simbolicamente chiamato "le nozze di Cana", perché le coppie erano quattro, con un'età compresa tra i venti e i cin- quant'anni, accompagnate da figli, nipoti, vicini ed amici". "Queste persone – dice sorridendo Patrizia – durante la festa hanno riacquistato la dignità di figli di Dio. In particolare ricordo che una sposa, Nunzia, di solito triste e silenziosa, nei giorni seguenti è rifiorita, ha cominciato a sorridere e ha deciso di impegnarsi nella parrocchia". "Alcune coppie – aggiunge don Enzo – si sentivano in difetto nei confronti del Signore, e il sacramento del matrimonio li ha riscattati da una situazione che non avevano scelto". Tutta la comunità si è impegnata per organizzare la festa pulendo i locali, decorandoli, cucinando, preparando bibite e bomboniere, occupandosi del piano bar e dei fuochi d'artificio. "Siamo riusciti a vivere un'unità molto forte – dice Patrizia – coinvolgendo il quartiere e mettendo incomune quello che avevamo, e alla fine si vedeva che qualcosa era sbocciato nel cuore di tutti". "Inizialmente – spiega don Enzo – era stato difficile rendere partecipi della cerimonia i figli degli sposi; poi abbiamo scoperto che dietro la loro ritrosia c'erano situazioni di disagio e di povertà. Così siamo andati avanti con gioia e con la volontà di costruire la festa insieme, quasi tenendoci per mano e cercando di metterci l'uno nei panni dell'altro. All'inizio è stato molto difficile farlo, ma siamo riusciti a compiere un'azione gratuita ed è importante che la comunità ecclesiale sia capace di scelte forti, irrinunciabili e durature". "Per me – spiega Patrizia – la cosa più importante è stata dare senso e valore alle cose che facevamo insieme, per sperimentare che al di là delle esperienze precedenti e della propria provenienza, è possibile costruire l'unità. È anche importante che la chiesa si apra al quartiere, vada nelle case e negli spazi in cui vivono le persone, e la presenza di don Enzo nella comunità è stata un dono. Io ero arrivata in questa chiesa perché il parroco precedente mi aveva chiesto collaborare col coro, ma non pensavo di riuscire ad integrarmi. Invece don Enzo mi ha fatto capire che l'impegno di ciascuno è un regalo prezioso per la comunità". "L'esperienza che abbiamo vissuto con queste famiglie – conclude il parroco – mi ha donato un forte senso di paternità spirituale. Ho capito che dovevamo trovare nuove energie per non arrenderci, e che quei matrimoni erano una conseguenza dell'incontro di questa gente con il loro Dio: in certo modo dovevamo realizzare il suo desiderio di comunicare con persone che, per qualche motivo, gli avevano girato le spalle. Ma occorreva che qualcuno si facesse carico di questo suo volere. Con Patrizia abbiamo fatto un'esperienza di profonda condivisione e siamo andati avanti impegnandoci lei da laica e io da sacerdote, dando vita a quel rapporto di collaborazione che crea la comunità".